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La trasmissione della lingua del paese di origine e language shift

1. Quadro teorico della ricerca

1.4 La trasmissione della lingua del paese di origine e language shift

L’articolo di Denison (1977)41 espone una riflessione sul fatto che la morte linguistica sia in realtà una sorta di suicidio linguistico da parte della comunità, che avviene gradualmente iniziando dallo sviluppo di atteggiamenti negativi da parte della comunità stessa nei confronti del codice mi-noritario, i quali si traducono nella volontà di non trasmettere tale lingua ai figli, successivamente nella reale mancata trasmissione del codice ed infine, nell’imperfetta o addirittura mancata acquisi-zione da parte delle generazioni successive. In altre parole e come vedremo in seguito, gli atteggia-menti linguistici sono il primo anello della catena che porterà innanzitutto ad uno shift intraetnico, intrafamiliare.

Riuscire a mantenere e trasmettere degli atteggiamenti positivi nei confronti della lingua del paese d’origine all’interno della comunità, dunque, potrebbe essere un fattore a favore del mantenimento del codice stesso, ma non è l’unico.

De Bot (1996) cita una serie di studi dove si enumerano ulteriori elementi, quali ad esempio Kloss (1966: 206), il quale sostiene che uno dei parametri che possono sostenere il mantenimento della L1 in contesto migratorio sia l’isolamento religioso e sociale: “when members of some religious group

‘withdraw from the world’ that surrounds them and build up a self-sufficient society of their own (…)”, si creerebbero i presupposti per la creazione di quella che potremmo definire un’isola lingui-stica.

Kloss esplicita poi un’ulteriore serie di parametri che possono agire sia a favore sia a sfavore dello shift e dell’erosione, quali il numero degli individui che formano la comunità, la vicinanza culturale e linguistica al gruppo dominante e la tolleranza di quest’ultimo verso la comunità minoritaria, il grado di istruzione dei membri della comunità. Dorian (1982: 46) sottolinea inoltre l’importanza dell’aspetto pragmatico, che potremmo definire utilitaristico. In altre parole, più un codice linguisti-co si percepisce linguisti-come utile per migliorare le proprie linguisti-condizioni, maggiori possibilità avrà di essere mantenuto (o eventualmente acquisito). Secondo l’autrice, infatti, anche la fedeltà linguistica dipen-de dal valore strumentale dipen-dei codici. I parlanti mostrerebbero dunque una fedipen-deltà maggiore nei con-fronti dei codici dal valore maggiormente strumentale; tuttavia, soprattutto per quanto riguarda le generazioni successive alla prima, fattori strumentali e integrativi tendono a compensarsi.

Clyne (2003: 28-46), infine, propone alcuni dei parametri che influenzano lo shift e dunque il mantenimento o meno dei codici del repertorio, distinguendo tra fattori individuali (matrimoni esogami o endogami, età, sesso, competenze) e fattori comunitari (concentrazione comunitaria, tempo dell’emigrazione, fattore quest’ultimo valutato anche come individuale).

41 L’autore, tuttavia, si dichiara scettico nei confronti dei termini antropomorfici utilizzati per descrivere processi linguistici.

Il matrimonio (o la convivenza) di tipo endogamo, ovvero fondato sull’unione di due individui che condividono la stessa origine, supporta il mantenimento dei codici nativi, in quanto entrambi i geni-tori utilizzeranno verosimilmente tra loro e con i figli la lingua nativa. Un’unione di tipo esogamo, tuttavia, promuoverà diversi tipi di situazioni, ad esempio il caso “una lingua una persona”, dove i genitori sceglieranno di parlare con i figli rispettivamente la propria lingua nativa, oppure si pro-muoverà la lingua madre di uno dei due genitori, probabilmente di quello che passa più tempo con i bambini, o ancora la lingua del paese ospite.42 In tutti i casi, il processo di shift sarà tendenzialmente più veloce rispetto a quello che potrebbe affermarsi nei matrimoni endogami.

Il diverso uso dei codici tra una generazione e l’altra può essere quindi causato dal fenomeno del language shift, ma anche, come abbiamo già sostenuto, dalla mancata trasmissione della lingua.43 Tra le variabili sociolinguistiche classiche, il sesso può influenzare lo shift, il quale sembra essere un fenomeno maggiormente diffuso nella componente maschile della comunità rispetto a quella femminile che si dimostra più tradizionalista in fatto di lingua e tradizioni identitarie e culturali.44 Tuttavia tale condizione sembra verificarsi tendenzialmente nella prima generazione, mentre nella seconda generazione la differenza percentuale di shift tra un sesso e l’altro diviene meno cospicua.45 Intervengono infatti altri fattori quali i matrimoni esogami ad esempio, ad alterare il mantenimento o la sostituzione dei codici linguistici a livello di appartenenza di genere.

L’età è una variabile interessante ma sfaccettata e complessa, perché si relaziona con molti altri fat-tori. Potremmo affermare che tendenzialmente diversi codici possono rappresentare diversi gruppi di età. Se pensiamo alla dimensione italiana, subito affiora alla mente la relazione dialetto-anziani, in particolare, la correlazione tra dialettofonia e maggiore anzianità. Per quanto riguarda lo shift, è tendenzialmente confermato che il gruppo più anziano tende a mantenere i codici nativi, non solo per motivi di fedeltà linguistica, ma anche per le scarse competenze che potrebbe possedere nelle lingue del paese ospite,mentre i gruppi connotati da un’età più giovane tenderebbero più facilmente allo shift.

Si dovrà stabilire se tale scenario è rappresentativo anche se utilizzato nelle ricerche odierne, che si rapportano ad un quadro migratorio maggiormente dinamico, nel quale la crisi economica interna-zionale, unitamente alle dinamiche di mercato globale, ha spinto all’emigrazione anche professioni-sti e gruppi con alto grado di istruzione, che probabilmente attiveranno relazioni diverse con la co-munità ospite, le lingue del repertorio e la stessa coco-munità nativa. Clyne (2003: 30) sostiene infatti

42 Clyne (2005: 85).

43 Clyne (2003: 21).

44 Baker (1992).

45 Clyne (2003: 35).

che “such trends are more difficult to establish for more recently arrived groups because there is not yet a broad cross-section of the community”.

Il tempo di immigrazione invece sembrerebbe un parametro maggiormente stabile, sebbene il lavo-ro di de Bot, Gommans e Rossing (1991) evidenzi come anch’esso sia da relazionarsi al reticolo so-ciale dei parlanti; tale parametro inciderebbe infatti solo su quegli individui che non hanno contatti con altri parlanti nativi. Comunque, con il trascorrere del tempo lo shift si fa tendenzialmente più si-gnificativo, anche per l’eventuale presenza dei figli, i quali, tendenzialmente, utilizzano in casa la lingua dominante. Del resto, gli stessi figli, intorno ai venti, trent’anni lasceranno il nucleo familiare per crearne un altro o vivere da soli e, in entrambi i casi, potrebbe verificarsi l’utilizzo della sola lin-gua dominante come linlin-gua della nuova esistenza, favorendo così lo shift da un lato e il fenomeno del reversing shift nella famiglia d’origine dall’altro.

Veltman (1991: 159) considera come punto di partenza per lo studio dello shift in contesto migrato-rio, in particolare statunitense, gli assunti che più gli immigrati sono giovani nel momento del loro arrivo nel paese ospite, maggiore sarà il grado di shift, così come maggiore sarà nel caso di un lun-go periodo di immigrazione. I dati empirici raccolti dall’autore dimostrano infatti come il 40% degli immigrati più giovani tendano allo shift totale dopo solo 2 anni e mezzo di residenza negli Stati Uniti d’America, adottando l’inglese come lingua principale per raggiungere picchi del 90% dopo 17 anni di residenza; al contrario, solo il 30% degli individui più anziani adotta l’inglese come lin-gua principale dopo 17 anni di residenza. I parametri età, sesso, tempo di immigrazione e luogo di nascita, sono sufficienti secondo l’autore, per delineare modelli demografici realistici per i gruppi parlanti lingue minoritarie. Una volta creati tali modelli resta da definire “the assignment of lan-guage characteristics to newborn children and the estimation of final rates of lanlan-guage loss (…)”.46 Anche le competenze linguistiche sembrano influenzare lo shift, si è infatti dimostrato che se le competenze nei confronti della lingua dominante sono elevate, maggiore è la possibilità di shift, al contrario, se tali competenze sono di scarso livello, si tenderà a mantenere i codici nativi.

Secondo de Bot (1996: 581), un individuo maggiormente istruito tenderà a mantenere la lingua, ma il problema che ci si pone è se tale individuo la trasmetterà ai discendenti. Nel nostro caso particola-re come vedparticola-remo, gli individui più istruiti tendono ad aveparticola-re matrimoni esogami e sono proiettati verso un mercato maggiormente globale, non solo per quanto riguarda il reticolo sociale, ma anche per ciò che attiene al lavoro, dove l’italiano non sempre trova il suo spazio, spesso sovrastato dalla lingua del paese ospite e, talvolta, dalla lingua inglese.

Infine, come abbiamo già sottolineato in precedenza, si devono considerare gli atteggiamenti lingui-stici in quanto si legano direttamente al concetto di comunità, allo stato di salute di una lingua,

non-46 Veltman (1991: 159).

ché alla volontà di trasmissione e acquisizione di tale lingua. Secondo Hakuta e D’Andrea (1992:

72), inoltre, “(language shift is) predicted by the subject’s language attitude”. Lo studio di Perta (2011), condotto su tre comunità albanofone del Molise e una comunità albanofona della Puglia, conferma quanto già sostenuto da Denison (1977), gettando luce sul ruolo degli atteggiamenti nella trasmissione, o meno, di un codice minoritario. A livello comunitario, se si vuole mantenere in vita una lingua minoritaria, come una lingua immigrata nel nostro caso, si dovranno rafforzare gli atteggiamenti positivi verso tale lingua. I bambini riconoscono gli atteggiamenti positivi e negativi condivisi all’interno della comunità nella quale si trovano inseriti, è quindi probabile che, attraverso segnali affermativi (dal sorriso, all’uso della lingua in questione nell’insegnamento scolastico,…), quindi attraverso la creazione di condizioni che rendano quanto più naturale e piacevole l’utilizzo del codice minoritario, si possano in un certo qual modo influenzare i loro atteggiamenti, ad esem-pio, motivandoli all’apprendimento e all’utilizzo della lingua minoritaria. Oltre ai riconoscimenti esterni, è importante il sentimento di autostima linguistica che si innesca nel bambino nella defini-zione della propria identità e ai fini dell’integradefini-zione sociale. Affinché una lingua minoritaria possa sopravvivere, le due dimensioni, interna ed esterna, devono convivere nell’individuo e nella comu-nità. Ancora una volta dobbiamo però render conto dell’interrelazione tra fattori. Sappiamo infatti che età,47 sesso, esperienze drammatiche, pressioni da parte della comunità, atteggiamenti dei geni-tori, dei compagni e degli amici, dei mass media, l’esistenza di rituali in lingua, possono influenzare gli atteggiamenti linguistici. Tra tutte queste componenti quella più influente sembra essere la cultu-ra popolare. Lo stile di vita è la prima causa del mutamento degli atteggiamenti.48 Matras (2009:

60), inoltre, evidenzia come gli atteggiamenti linguistici, unitamente alla struttura della società

act as external constraints that will either allow innovative and creative use of lan-guage to spread within the community and become acceptable, leading to lanlan-guage change, or else they will block their propagation and so limit them to occasional oc-currences in the discourse of individuals.

Si conclude il presente paragrafo sottolineando la doppia valenza di tutti i parametri citati, ovvero la capacità intrinseca di operare a favore o a sfavore della sostituzione dei codici minoritari in dipen-denza di un orientamento positivo o negativo dei parlanti rispetto ai codici nativi. Tale condizione secondo Jaspaert e Kroon (1991: 78) è da ritenersi rappresentativa sia per il processo di shift sia per il processo descritto di seguito, di attrition.

47 Cfr. Baker (1992:116). Dalle indagini di Baker emerge che il cambiamento degli atteggiamenti da positivi a tendenzialmente meno positivi/negativi verso una lingua minoritaria e verso il bilinguismo si verifica durante l’adolescenza. Una risposta a questo fenomeno potrebbe derivare dalla volontà del ragazzo di autodefinirsi anche grazie al distacco dal contesto familiare. L’adolescente si avvicina quindi alla cultura popolare allontanandosi da quella comunitaria e circoscritta.

48 Cfr. Baker (1992).