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Sul concetto di comunità linguistica

1. Quadro teorico della ricerca

1.1 Sul concetto di comunità linguistica

Il concetto di comunità linguistica è intrinsecamente legato alle ricerche sociolinguistiche, le quali si rapportano alle varietà di lingue utilizzate in particolari domini della comunicazione da parte dei membri di una comunità. Tuttavia, tale concetto non è univoco.12 Gumperz (2000: 171) descrive la comunità linguistica come:

un aggregato umano caratterizzato da un'interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme condiviso di segni verbali e distinto da altri aggregati simili a causa di differenze significative nell'uso del linguaggio

ma lo studioso aggiunge che tali aggregati possono essere intesi sia a livello nazionale sia in senso più ristretto, come ad esempio di banda giovanile, sono le particolarità linguistiche comuni a fare di tali aggregati una comunità. Le somiglianze e le differenze di tali particolarità costituiscono lo scopo dell'analisi sociolinguistica. Non solo Gumperz, ma già Labov, attribuiscono agli

atteggia-12 La nascita della tradizione sociolinguistica sul concetto di comunità legata a quello di variazione è da collocarsi intorno agli anni Sessanta del Novecento. Nel presente lavoro si adotterà la visione classica di Labov. Si consultino per approfondimenti Labov ([1966] 2006), Gumperz (1986), Milroy e Milroy (1985), Eckert (2005), ma anche Bucholtz (1999), Otheguy, Zentella e Livert (2007).

menti linguistici un'importanza fondamentale nella definizione di una comunità. Una comunità linguistica è definita, infatti, non solo come un gruppo sociale che condivide uno stesso repertorio, ma anche come “un gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua”.13 All'omogeneità del comportamento linguistico e dei tratti linguistici, si unisce la coerenza delle predisposizioni mentali nei confronti delle (varietà di) lingue. Tali predi-sposizioni determinano anche la variazione di caratteristiche (socio)linguistiche, nel momento in cui si accetta che esse siano la conseguenza di un consenso più o meno implicito dei membri della co-munità. Alla variazione degli atteggiamenti può dunque corrispondere una variazione (socio)lingui-stica. Si pensi ad esempio all'uso del dialetto italo-romanzo in Italia. Nell'arco di tre generazioni, esso è diventato un codice per lo più intrafamiliare o utilizzato a scopo ludico. Tale risultato è l'api-ce di un prol'api-cesso che ha visto la restrizione del raggio d’azione di tale codil'api-ce da sistema linguistico della comunicazione quotidiana, indipendentemente dal ruolo dei parlanti, alla preferenza della lgua italiana nel momento in cui ci si rivolgeva a personalità come sacerdoti e medici, per ridursi in-fine a codice del dominio familiare. Si osservi quanto descritto da due informanti intervistate per la presente ricerca:

Vis1. (…) Anche se sono in Italia e vado dal dottore non è che gli parlo dialetto an-che se è siciliano

I. Non vi parla in dialetto il dottore in Sicilia?

Vis1. Sììì i vecchi sì Fis1. Prima i vecchi sì Vis1. Ma adesso

Fis1. Adesso quelli no..quelli diciamo…più aristocratici

Vis1. (…) in ufficio possibilmente tu gli parli in italiano perché vuoi fare la … e loro ti rispondono in dialetto.

La restrizione dell'utilizzo del dialetto italo-romanzo è fonte di diversi fattori, racchiusi nel processo di italianizzazione, i quali hanno modificato gli atteggiamenti della comunità nei confronti del dia-letto, sebbene l’utilizzo dell’italiano nei settori formali sia ancora percepito, almeno per gli immi-grati qui intervistati, un processo un po’ fittizio per la gente comune, da intendersi come dialettofo-na, maggiormente idoneo agli “aristocratici”, qui identificabili con coloro che non vogliono essere associati ad una certa parte della comunità. Nel momento in cui una persona tendenzialmente dialet-tofona cerca di utilizzare la lingua nazionale si sente un po’ fuori luogo e ottiene una risposta in dia-letto.14

13 Labov ([1972] 1973: 341).

14 Non si può stabilire se tale atteggiamento e comportamento sia da ricondursi alla realtà sociolinguistica siciliana in patria, oppure se sia solo espressione di una comunità emigrata e dunque rimasta ferma di trent’anni rispetto a tale realtà. Si osservino comunque le tabelle Istat sull'uso del dialetto su base sociale e territoriale oggi, riportate anche in appendice:

http://www.istat.it/it/files/2014/10/Lingua-italiana-e-dialetti_PC.pdf?title=Lingua+italiana2C+dialetti+e+altre+lingue+-+27%2Fott%2F2014+-+Testo+integrale.pdf

Se i membri della comunità non adeguano i propri atteggiamenti e, dunque, la propria produzione linguistica e il proprio comportamento linguistico, si creeranno probabilmente sottogruppi o nuove comunità. Il mutamento degli atteggiamenti, infatti, implica un mutamento delle regole sociolingui-stiche, in altre parole, come messo in luce nell'esempio di cui sopra, si osserva un cambiamento nei mezzi con cui si intraprendono e si mantengono le relazioni con le persone. La comunità è quindi da intendersi come un nucleo socialmente definito, nel quale si individuano tendenze dinamiche di (auto)inclusione e (auto)esclusione di individui, tendenzialmente per ragioni sociali.

Anche nella variazione si individua un elemento fondamentale per definire la comunità stessa e le dinamiche che sottendono a tale nucleo sociale. Nel lavoro di Labov (1966)15 si individua general-mente l’inizio degli studi variazionistici, nei quali caratteristiche linguistiche vengono correlate a categorie socio-economiche ed anagrafiche.16 Tali studi vennero seguiti da lavori maggiormente et-nografici, su reti sociali all’interno della comunità (Milroy e Milroy 1985), mentre oggigiorno si as-siste alla tendenza ad osservare la variazione linguistica come una risorsa per la costruzione di un significato sociale (Eckert 2005). Tendenzialmente, però, rimane fermo il concetto secondo cui i membri di una stessa comunità sono dotati del background necessario per comprendere il comporta-mento linguistico gli uni degli altri; non solo, tale comportacomporta-mento, ad esempio la scelta di un parti-colare codice o registro, permette all’interlocutore di cogliere informazioni di natura identitaria e sociale rispetto al parlante stesso.17

Al fine di rispondere alla nostra domanda di ricerca, ovvero se esistano più comunità italiane a Ber-lino, in cosa si distinguano e quali elementi condividano (socio)linguisticamente, dobbiamo verifi-care, dunque, gli atteggiamenti linguistici del campione, i quali gettano luce sull’organizzazione del repertorio linguistico stesso. La prospettiva che si vuole applicare al presente lavoro sul contatto lin-guistico in contesto migratorio e sulle conseguenze da esso provocate nei confronti dei repertori na-tivi, intende coinvolgere sia la prospettiva socio-linguistica (shift), sia la prospettiva linguistica (at-trition).

Ci si concentrerà innanzitutto sul repertorio nativo della comunità italiana a Berlino, al fine di stabi-lire quali codici siano effettivamente usati nei diversi domini funzionali e di individuare un eventua-le processo di language shift intragenerazionaeventua-le e intergenerazionaeventua-le;18 focalizzandoci appunto sullo studio degli atteggiamenti linguistici e sulla trasmissione intergenerazionale della lingua,

includen-15 Per Labov (1966) si è utilizzata la versione aggiornata del 2006, si veda Labov ([1966] 2006).

16 Labov ([1966] 2006: 16) vede come precursore dei suoi propri studi il lavoro di Fischer (1958) “Fischer showed the differential behaviour of males and females for the sociolinguistic variable (ING), patterns of style shifting, and the distinction between ‘model’ boys and ‘normal’ boys”, http://web.stanford.edu/~eckert/PDF/fischer1958.pdf

17 Cfr. Gal (1979: 12).

18 Si tenga presente che la terza generazione si presenta ancora numericamente scarsa e spesso ibrida, cioè nata da un genitore di seconda generazione e uno di terza, con potenziali relative conseguenze sulla qualità e quantità dell’input trasmesso.

do gli aspetti di politica e pianificazione linguistica. Successivamente si analizzerà la lingua italiana parlata dalla comunità italiana residente a Berlino per descriverne la/le varietà parlate e comprende-re se sia in atto un fenomeno di erosione linguistica intergenerazionale, gettando luce, dunque, sulla varietà padroneggiata dalla seconda generazione. I tratti linguistici che saranno privilegiati nell’analisi linguistica sono quei tratti che si discostano dallo standard e si terranno come punto di riferimento i tratti presentati in Berruto ([1983]2012: 141-181) i quali sarebbero significativi della varietà di italiano popolare, in passato spesso associata, come vedremo, alla varietà parlata dagli emigrati italiani all’estero, per lo più dialettofoni. Tali tratti19 verranno riportati e descritti ma, essendo una ricerca qualitativa, non ne verrà indicata la frequenza. Il concetto di variabile linguisti-ca sostenuto nel presente lavoro, vede le variabili come elementi alternativi per esprimere uno stes-so concetto, sebbene ognuna esprima un diverstes-so valore stes-sociale.20 Secondo Labov ([1966] 2006: 18) le variabili linguistiche sono la prova stessa dell’esistenza di una struttura e non della sua mancanza.

Il taglio prescelto per la raccolta dati è di natura sociolinguistica, al fine di offrire un quadro detta-gliato di tipo descrittivo dei fenomeni di variazione della lingua italiana parlata a Berlino.21 Secondo Silva-Corvalán ([1994] 2002: 50), infatti, sono le peculiarità sociolinguistiche ad essere i migliori predittori di erosione. Lo shift è il mezzo che vogliamo utilizzare per determinare se la restrizione dei domini, il minor numero di parlanti nativi e la diminuzione dell’uso della lingua nativa, concor-rano ad un eventuale processo di erosione linguistica evidenziando al contempo i parametri che, al contrario, sostengono il mantenimento del codice linguistico minoritario.