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Atteggiamenti linguistici nei confronti della lingua italiana

1. Quadro teorico della ricerca

4.2 Analisi del gruppo italofono di origine regionale mista

4.2.2 Analisi sociolinguistica

4.2.3.7 Atteggiamenti linguistici nei confronti della lingua italiana

Al contrario di ciò che è stato elicitato nel gruppo dialettofono, solo in 2 casi si sono avvertiti timori per l'acquisizione del tedesco da parte dei figli. Tale generale fiducia nel bilinguismo è probabil-mente da ricollegarsi alle competenze dei genitori nella lingua tedesca, ad un elevato grado di istru-zione e, di conseguenza, ad una maggiore capacità di seguire i figli nel percorso scolastico.

L’importanza dell’italiano è anche in questo caso subordinata a quella dell’inglese e del tedesco.

Tuttavia, 7 genitori presenti nel campione hanno scelto la scuola europea per i propri figli, 4 la scuola tedesca e 2 una scuola internazionale. In un caso la scelta per la scuola europea è frutto di un processo difficile. Tale difficoltà è tendenzialmente condivisa dalle coppie composte da soli indi-vidui italiani e che non parlavano tedesco al tempo del loro arrivo in Germania:

Nonostante si dichiari che la lingua italiana sia importante, soprattutto a livello identitario:

Elm1. (L’italiano è importante?) Decisamente per conoscere i loro genitori siamo entrambi italiani vengono (i bambini) dall’Italia (…) hanno un’identità italiana (…) ma anche in futuro per un lavoro.

E ancora:

I. è importante che tuo figlio impari l’italiano?

Anm1. Per lui o per me?

I. Per te

Anm1. Per me sì è importantissimo per lui molto meno (…) perché lui è anche italiano per un fatto di identità (…).

Non sempre si riscontra la volontà dei figli di acquisire tale codice o la volontà di iscrivere i figli alla scuola europea italo-tedesca. In un caso, per paura che provenendo da entrambi genitori italiani, non imparino il tedesco e non si integrino:

Elm1. P. ha frequentato subito l’asilo tedesco e ho visto che rispetto agli altri bambi-ni parlava più tardi degli altri bambibambi-ni è normalissimo anche B. (la sorella) ha avuto lo stesso sviluppo mentale (…) hanno mischiato le due lingue le prime parole che hanno detto erano tipo “mea latte” (…). Lui (il figlio) ha fatto il biennio in una scuo-la solo tedesca e adesso terza e quarta sta facendo scuo-la scuoscuo-la italo-tedesca si trova molto meglio in realtà.

I. Ma tu volevi fargli fare quella tedesca?

Elm1. Per l’integrazione (…) dopo un anno che era nato P. abbiamo deciso di restare qui (…) non abbiamo avuto assolutamente dubbi sul fatto che dovesse fare un asilo tedesco proprio per esporlo il più possibile alla lingua tedesca visto che a casa si par-lava italiano (…). Questo gli ha provocato qualche difficoltà non si è mai espresso benissimo ha parlato più tardi rispetto agli altri bambini quando ha iniziato la scuola io volevo che restasse un anno in più perché lui era più piccolino (…) non mi sono mai posta il problema del suo italiano l’italiano lui lo parlerà benissimo perché lo parliamo a casa imparerà a leggere gli leggiamo storie in italiano guarda anche i car-toni in italiano (…) non ha bisogno di supporto per l’italiano. Non abbiamo fatto i conti con l’integrazione sociale (…) non è soltanto alfabetizzazione nozioni e lingua ma anche società in quell’ambiente (…) è andato in cortocircuito e l’unica situazio-ne per salvarlo è stato metterlo in una scuola italo-tedesca (…).

In questa intervista sono condensate dunque le ragioni per mandare i figli alla scuola tedesca e al contempo per non mandarli, ad esempio la gestione di dinamiche culturali e/o identitarie, elementi nei confronti dei quali la scuola europea può essere, magari, maggiormente preparata in quanto i bambini figli di immigrati, incontrandosi fra loro, possono sentirsi parte di un gruppo maggiormente omogeneo. Nonostante questo esempio, molti sono gli studenti e genitori di origine italiana che si trovano felici della scelta di aver mandato i figli in una scuola tedesca, per ammissione dell’infor-mante stessa, che anzi ha dichiarato di aver pensato comunque alla scuola tedesca come possibilità per la figlia minore. L’esempio è stato riportato per mettere in luce quanto le dinamiche soggettive e identitarie risultino fondamentali e deviino le scelte verso la variegata offerta formativa berlinese.

Un’altra informante invece dichiara:

Rom1. Io non è che ho questa grande risorsa da potermi ricostruire in Italia cioè io sono qua ho deciso di rimaner qua con mio marito e ho fatto le mie salde la mia base qui e i miei figli devono imparare la lingua tedesca bene come se poi quando saran-no grandi faransaran-no loro le loro scelte vogliosaran-no tornare in Italia se ne possosaran-no tornare quando vogliono non mi interessa non sarò certo io a frenarli.

In questo caso è evidente come alcuni soggetti abbiano gettato profonde radici nel paese ospite e le vogliano trasmettere ai figli, anche e soprattutto attraverso l’apprendimento della lingua tedesca.

In altri casi, la scelta della scuola europea dopo la frequenza di un asilo tedesco è stata considerata una possibilità in più offerta ai figli:

Lfm1. M. ritorna in Italia a studiare (…) quello era l’intento di dire mandiamola in una scuola italiana che poi quando arrivi gr a diciott’anni decidi tu cosa vuoi fare puoi studiare qui puoi studiare là, puoi lavorare qui puoi lavorare là tenuto conto che avendo le due (lingue) a disposizione puoi andare avanti e indietro puoi cioè hai più scelta (…).

Le differenze didattiche tra l’insegnamento italiano e tedesco hanno giocato un ruolo nella scelta di M. di voler ritornare in Italia:

I. Perché M. ha deciso di tornare in Italia?

Lfm1. È una mia supposizione confermata dai voti (…) si è trovata molto spesso a discutere con i professori sulla metodologia di insegnamento effettivamente avendo professori italiani e tedeschi può metterli a confronto e i professori italiani sono mol-to simili affettivamente a quelli che ho avumol-to io a scuola a mio tempo cioè che inse-gnano cioè spiegando spiegano e travasano la conoscenza no e l’allievo poi impara da questo travaso (…) ovviamente poi è un piccolo salto per imparare a ragionare per progredire mentre (…) (i professori tedeschi) buttavano sugli allievi e non l’aiu-tavano e risolverlo e poi loro dimostravano i professori che erano in grado di risol-verlo e per cui mettendo l’allievo in condizione di inferiorità è un po’ come dire un po’ demotivandoli (…).

Tuttavia, l’importanza di conoscere più lingue tramandata dai genitori ha spinto qualche ragazzo al passaggio da una scuola europea italo-tedesca ad una internazionale:

Lfm1. (…) quell’altra (figlia) lei secondo me vuol girare il mondo “l’italiano lo so il tedesco lo so mi manca l’inglese di saperlo bene imparo lo spagnolo” e alla fine del-la scuodel-la dovrebbe sapere quattro lingue.

Se l’acquisizione dell’italiano rappresenta un’occasione per il futuro dei figli, il dialetto non sembra altrettanto prestigioso. Di seguito si riportano tuttavia due interviste che rappresentano le percezioni del campione qui intervistato, da un lato si esprime l’inutilità e anzi la connotazione negativa nei confronti di tale codice, dall’altra gli si riconosce invece la funzione di espressione culturale e di ar-ricchimento per le seconde generazioni:

Lfm1. (Parlare il dialetto) sarebbe molto molto limitato non avrebbero (le figlie) possibilità di parlarlo con nessuno qua a Berlino perché del nord del nostro paese non c’è proprio nessuno (…) sia nella famiglia che nella famiglia di x. (la moglie) non c’è mai stata l’impronta del dialetto (…) la nonna non avendo studiato parlava il dialetto (…)

I. Pensi che il dialetto in Italia sia legato alle persone che hanno studiato o Lfm1. Sì mediamente sì non tutti ad alcuni ambienti il baretto sotto casa I. Pensi sia una questione identitaria?

L. Di appartenenza. Direi che se uno sta in un piccolo paesello e non ha contatti con la grande città coltiva il dialetto (…).

La limitazione del dialetto non è dunque solo linguistica, ma anche sociale. Tale codice viene perce-pito come definente un determinato sostrato sociale, da un lato legato a coloro in possesso di basso grado di istruzione, dall’altro padroneggiato da persone che non sono in contatto con la realtà citta-dina, metropolitana. Non si riscontra dunque alcun motivo di trasmetterlo o farlo imparare ai figli.

Tuttavia:

I. Abbiamo detto che secondo te (il dialetto) non è legato ad una classe sociale Anm1. No no per la mia esperienza no, almeno per quanto riguarda il napoletano I. E nemmeno a diverse categorie di persone

Anm1. Giovani vecchi? No no non credo (…) è un legame con la propria terra (…) positivo (…)

I. Ti piacerebbe che (tuo figlio) imparasse il napoletano?

Anm1. Ah sì sì è per questo che gli parlo in napoletano qualche volta e credo che a lui faccia piacere non so se sia importante per lui ma gli fa piacere (…)

I. Tu lo fai per quale motivo?

Anm1. Lo faccio per due motivi fondamentali uno perché viene spontaneo parlare con lui napoletano e due per avvicinarlo anche al napoletano (…) per avvicinarlo alla cultura napoletana

I. Quindi non per parlare con i nonni o Anm1. No no no

Quindi non un codice della famiglia, ma un codice culturale degno di essere trasmesso. Un arricchi-mento non fondato su un grado puramente strumentale o di utilizzo. È probabile che la percezione e il prestigio del dialetto siano da ricondursi al prestigio che tale codice detiene nelle regioni stesse.

La ‘lingua napoletana’ infatti è dotata di una ricca tradizione, anche a livello musicale, molto ap-prezzata non solo localmente. Se la trasmissione spontanea della lingua in particolari occasioni non ne determina l’acquisizione, sviluppa certamente la curiosità verso tale codice.

5 Analisi sociolinguistica e socio-demografica del campione di seconda