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TRAPIANTO DI PANCREAS O DI ISOLE PANCREATICHE

Im Dokument per la cura del diabete mellito 2018 (Seite 84-93)

I benefici dell’identificazione e della diagnosi precoce dei casi di diabete asintomatico non sono ancora chiaramente quantificati e possono variare in base ai contesti e alle

DIABETE GESTAZIONALE

G. TERAPIA FARMACOLOGICA DEL DIABETE

2. TRAPIANTO DI PANCREAS O DI ISOLE PANCREATICHE

Il trapianto di pancreas e rene è consigliabile, dopo esclusione della presenza di controindicazioni, nei pazienti con diabete tipo 1 e insufficienza renale cronica (in fase di trattamento dialitico o in fase predialitica); tale trapianto ha effetti positivi sull’aspettativa di vita dei pazienti e può contribuire arallentare la progressione delle complicanze vascolari croniche del diabete. II A Il trapianto di pancreas isolato può essere consigliabile, dopo esclusione della presenza di controindicazioni e verifica di una adeguatamente conservata funzione renale, nei pazienti con diabete tipo 1 con grave instabilità glicemica e/o complicanze croniche in evoluzione; tale tra-pianto ha effetti positivi sulle complicanze acute del diabete e può contribuire a rallentare la progressione delle complicanze vascolari croniche della malattia. Il trapianto di pancreas dopo rene può essere consigliabile nei pazienti con diabete tipo 1 portatori di trapianto di rene fun-zionante, in presenza delle indicazioni previste per il trapianto di pancreas isolato. III B Il trapianto di isole pancreatiche insieme o dopo un altro trapianto di organo (ad esempio, trapianto di rene) può essere consigliabile in alternativa al trapianto di pancreas insieme o dopo un altro organo (più comunemente rene) quando il pancreas non è fattibile (trapianto combinato). Le indicazioni cliniche del trapianto combinato di isole sono pertanto le stesse del trapianto combinato di pancreas. Il trapianto di pancreas non è fattibile in caso di complicanze cardiovascolari, pregressi multipli interventi chirurgici addominali, o volontà del paziente che

rifiuta un aggiuntivo intervento di chirurgia maggiore. V B

Il trapianto di isole pancreatiche da sole può essere consigliabile in alternativa al trapianto di pancreas isolato quando questo non è fattibile. Le indicazioni cliniche rimangono pertanto le stesse del trapianto di pancreas isolato. I casi in cui il trapianto di pancreas non è fattibile includono: complicanze cardiovascolari, pregressi multipli interventi chirurgici addominali, la volontà del paziente che rifiuta un intervento di chirurgia maggiore. V B L’autotrapianto di isole può essere consigliato in caso di pancreasectomia parziale o totale per pancreatite cronica con dolore intrattabile, per exeresi di una neoplasia o per trauma del pancreas. Tale trapianto ha capacità di prevenire o minimizzare il diabete che consegue alla

rimozione del pancreas. III B

Il trapianto di pancreas e il trapianto di isole sono gli unici trattamenti del diabete in grado di normalizzarei livelli di HbA1c in assenza di terapia insulinica esogena a lungo termine e senza il rischio di ipoglicemie gravi. Inoltre, il trapianto di pancreas e il trapianto di isole possono preveni-re, fermare e talora far regredire le complicanze del diabete. Entrambi rappresentano un’opzione importante nella gestione dei pazienti con diabete di tipo 1 (e in qualche caso di tipo 2) con insuffi-cienza renale terminale o con ipoglicemie severe non rispondenti ad altri trattamenti. Il trapianto di pancreas e quello di isole non devono essere considerati mutualmente esclusivi, bensì complemen-tari, e da scegliere in base alle indicazioni, controindicazioni e consenso del singolo paziente. Con il continuo miglioramento dei risultati a lungo termine del trapianto di pancreas o di isole, associato alla progressiva diminuzione della mortalità e della morbilità a loro carico, è verosimile attendersi che le indicazioni per tali procedure si espanderanno nel prossimo futuro.

Indicazioni al trapianto allogenico

Il trapianto di pancreas o il trapianto di isole possono essere eseguiti contemporaneamente con un trapianto di rene, dopo un trapianto di rene o come procedure non associate al trapianto di rene, sulla base delle condizioni cliniche del paziente e della disponibilità degli organi. In assenza di controindicazioni, i pazienti che hanno sviluppato un’insufficienza renale cronica allo stadio ter-minale, secondaria o comunque associata al diabete di tipo 1 o di tipo 2 (in trattamento insulinico),

sono candidabili al trapianto simultaneo di rene e pancreas (SPK), procedura considerata come il

“gold standard” dei trattamenti possibili in tali pazienti. Il trapianto di pancreas dopo rene (PAK) può essere consigliato nei pazienti sottoposti in precedenza a trapianto di rene (purché con funzio-ne renale stabile), e che presentino condizioni cliniche sovrapponibili a quelle che indicano l’utilità del trapianto di pancreas isolato (PTA), come discusso più avanti. Va inoltre tenuto presente che è possibile ri-trapiantare il pancreas nei pazienti sottoposti a SPK e che abbiano perduto la funzione del primo “graft”. In generale, le stesse indicazioni per l’SPK e il PAK valgono per il trapianto com-binato di isole e rene (SIK) e quello di isole dopo il rene (IAK). Gli studi osservazionali disponibili indicano che queste varie procedure sono in grado di mantenere un significativo e prolungato mi-glioramento del controllo glicemico in assenza di episodi di ipoglicemia grave nella maggior parte dei pazienti (ADA 2017; Gruessner AC 2016; Lehmann R 2015; Gerber PA 2008; Maffi P 2011; Mo-assesfar 2016; Boggi U 2012). La percentuale di insulino-indipendenza è più alta nei pazienti SPK/

PAK, mentre SIK/IAK sono caratterizzati da un minor tasso di complicanze. A parità di indicazione, non sono emerse differenze tra il trapianto di pancreas e il trapianto di isole per quanto riguarda gli effetti sulla funzione renale. Di conseguenza la decisione su quale procedura preferire deve essere basata sulla valutazione pre-trapianto del rischio chirurgico e dalla individuazione degli obiettivi che si desidera raggiungere, in accordo con il paziente.

Sia SPK che PAK dovrebbero essere preferiti in pazienti relativamente giovani (<50 anni), non obesi (indice di massa corporea <30 kg/m2), con condizioni cardiovascolari adeguate per poter sostenere il doppio trapianto. In tal modo si riducono la mortalità operatoria (<1%) e la perdita precoce del pancreas (~ 10%). I pazienti oltre i 50 anni richiedono una valutazione ancora più attenta, considerando che il beneficio delle procedure di trapianto di pancreas sulla spettanza di vita in questi casi non appare evidente (Ojo AO 2001). D’altra parte, SIK e IAK, essendo procedure meno invasive, permettono l’inclusione di pazienti più anziani, anche in presenza di problematiche cardiocircolatorie che ne impediscano l’eleggibilità al trapianto di pancreas in toto. Peraltro, i can-didati al trapianto d’isole devono essere consapevoli che gli obiettivi primari di tale procedura sono l’ottimizzazione del controllo glicemico e la scomparsa delle ipoglicemie, mentre l’indipendenza dall’insulina è più comunemente ottenuta con il trapianto di pancreas.

Più incerte sono le indicazioni al trapianto di pancreas o di isole in assenza di necessità di trapian-to di rene (rispettivamente PTA e ITA), a causa dei rischi legati alla procedura chirurgica in sé e alla terapia immunosoppressiva. Le indicazioni per il PTA sono state sintetizzate anche di recente dall’A-merican Diabetes Association (ADA) (ADA 2017), basandosi su quanto definito nel 2006 (Robertson RP 2006). Specificatamente, l’ADA indica che in assenza di indicazioni per il trapianto di rene, il trapianto di pancreas dovrebbe essere riservato a quei pazienti con diabete di tipo 1 con chetoa-cidosi ricorrente o ipoglicemia severa, malgrado trattamento intensivo (ADA 2017). Nel “position statement” del 2006 si dettagliava che il trapianto di pancreas isolato può essere preso in conside-razione in coloro che presentano: 1) una storia di frequenti, acute e gravi complicanze metaboliche (ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi); 2) problemi clinici ed emozionali con la terapia insulinica che sono così gravi da essere invalidanti; e 3) il fallimento di tutte le strategie disponibili basate sull’utilizzo dell’insulina per prevenire le complicanze acute, in particolare l’ipoglicemia. Queste indicazioni sono quindi associabili al concetto di diabete particolarmente instabile (“brittle”, nella terminologia anglosassone) (Voulgari C 2012; Voulgari C 2011). Più recentemente, l’utilizzo di PTA e ITA è stato associato al trattamento dell’”ipoglicemia problematica” (Choudhary 2015). L’ipogli-cemia è una complicanza comune e temuta nel diabete di tipo 1 (Frier BM 2014; Seaquist ER 2013).

Essa è definita severa quando determina un deterioramento cognitivo per cui il paziente ha bisogno dell’assistenza di un’altra persona per correggere la glicemia (ADA Workgroup 2005). Molti eventi d’ipoglicemia severa sono singoli episodi causati da errori di dosaggio d’insulina, esercizio fisico, e alcol. In alcuni casi però gli episodi sono imprevedibili, non possono essere facilmente spiegati o impediti, e, diconseguenza, hanno un significativo impatto negativo sulla salute e la qualità della vita. Tra le persone con diabete di tipo 1, 4-10% di tutti i decessi sono attribuiti a ipoglicemia severa (Skrivarhaug T 2006; Feltbower RG 2008), e il rischio di morte a 5 anni dopo un episodio d’ipoglice-mia severa è aumentato di 3-4 volte (McCoy RG 2012). I criteri per la diagnosi di ipogliced’ipoglice-mia proble-matica così come definita nella raccomandazioni contenute nella voce bibliografica (Frier BM 2014) includono due o più episodi d’ipoglicemia severa non giustificata negli ultimi 12 mesi o un episodio d’ipoglicemia severa negli ultimi 12 mesi associata alla mancanza di capacità di percepire i sintomi

dell’ipoglicemia, estrema labilità glicemica, o grande paura e comportamenti disadattivi. L’algorit-mo di trattamento a quattro stadi che è stato proposto per “ipoglicemia problematica” (Choudhary P 2015), prevede che tutti i pazienti con tale situazione devono essere sottoposti a programmi di formazione strutturati e specifici (fase 1). Gli obiettivi di tali programmi devono essere personalizzati e rivalutati ogni 3-6 mesi. In caso di insuccesso, si deve aggiungere una strategia con tecnologia come l’infusione continua sottocutanea d’insulina e/o il monitoraggio continuo della glicemia (fase 2). Per i pazienti che non rispondono a tale approccio, devono essere presi in considerazione gli infusori d’insulina con sistemi di sospensione automatizzata (fase 3). Per coloro in cui l’ipoglicemia problematica persiste, possono essere considerati l’ITA o il PTA (fase 4). Poiché PTA (Gruessner RW 2013) e ITA (Markmann JF 2016) sono entrambi efficaci nel prevenire l’ipoglicemia grave, l’opzione di trattamento ottimale richiederà la discussione individualizzata dei molteplici fattori precedente-mente riportati nel presente capitolo. In particolare, PTA e ITA richiedono che la funzione renale sia almeno tale da garantire un eGFR >60 ml/min (Tangri N 2016; Choudhary P 2015).

Indicazioni al trapianto autologo

Il diabete indotto dalla resezione pancreatica è l’indicazione specifica per l’autotrapianto di isole (IAT). Le procedure chirurgiche sul pancreas costituiscono una chirurgia addominale maggiore e sono gravate da importanti tassi di complicanze e, meno raramente che per altre operazioni chirur-giche, di morte peri-operatoria. Tra le complicanze della chirurgia resettiva pancreatica il diabete mellito è particolarmente importante, soprattutto perché associato ad eventi acuti (specialmente gli episodi di ipoglicemia) frequenti e spesso gravi. L’autotrapianto di isole ha dimostrato di prevenire o minimizzare il diabete nei pazienti pancreatectomizzati a causa di dolore intrattabile legato alla presenza di pancreatite cronica (Bellin MD 2012; Bramis K 2012; Dong M 2011). Attualmente, sono stati eseguiti più di 500 autotrapianti con questa indicazione in pazienti con pancreatectomia subto-tale o tosubto-tale, e le serie più rilevantisono state pubblicati dalla University of Minnesota (Sutherland DE 2012; Bellin MD 2013; Bellin MD 2011; Bellin MD 2008), l’Università di Cincinnati (Wilson GC 2013; Sutton JM 2010) e di Leicester (Webb MA 2008; Clayton HA 2003; White SA 2001; Garcea G 2009). La fattibilità, l’efficienza e la sicurezza dell’autorapianto per la prevenzione del diabete chirur-gico dopo ampia o totale resezione pancreatica per malattie del pancreas diverse dalla pancreatite cronica sono state recentemente documentate (Balzano G 2013; Balzano G 2016). I pazienti con neoplasie pancreatiche borderline o benigne che richiedono la resezione del pancreas, dovrebbe-ro essere valutati per un eventuale pdovrebbe-rocedura di autotrapianto (Balzano G 2014) ad eccezione del caso in cui sia presente una neoplasia mucinosa papillare intraduttale (IPMN) diffusa. L’indicazione di IAT per i pazienti con neoplasie pancreatiche ad alta malignità rimane controverso: i pazienti con neoplasie peri-ampollari o del duodeno non hanno alcun rischio di diffusione del tumore e dovreb-bero regolarmente essere valutati per un eventuale autotrapianto; in caso di carcinoma duttale, le indicazioni per l’autotrapianto devono essere discusse nel quadro di un team multidisciplinare.

Risultati clinici del trapianto di pancreas

Dal 1966 al 2012, quasi 50,000 trapianti di pancreas sono stati eseguiti e riportati al Registro Internazionale Pancreas Transplant, (IPTR) (Gruessner 2016). La modalità di trapianto più utilizzata è stata l’SPK (75%), seguita dal PAK (12%) e dal PTA (7%). Il numero di trapianti di pancreas è cresciuto fino al 2004, e da allora, è gradualmente diminuito (Gruessner 2013; Kandaswamy 2015; Gruessner 2014). I tassi di sopravvivenza dei pazienti hanno continuato a migliorare nel tempo in tutte e tre le categorie, raggiungendo il 96% a 1 anno e l’80% a 5 anni post-trapianto (Gruessner 2016). La sopravvivenza del trapianto (definita come insulino-indipendenza) è anch’essa migliorata in modo significativa nel corso del tempo in tutte e tre lecategorie, e rimane più alta con il trapianto SPK. I tassi di sopravvivenza del trapianto a 1 anno sono stati 89% (SPK), 86% (PAK) e il 82% (PTA). I dati a 5 anni sono stati 71% (SPK), 65% (PKT) e 58% (PTA). L’emivita stimata (funzione 50%) dei trapianti pancreas è di 14 anni (SPK), 7 anni (PAK) e 7 anni (PTA). In alcuni centri si ottengono risultati anche migliori, con insulino-indipendenza a 5 anni nel PTA superiore al 70% (Boggi U 2012).

Gli effetti favorevoli del trapianto combinato dei due organi rispetto al mantenimento in dialisi o al trapianto di rene da cadavere sono stati riportati in vari studi (Ojo 2001; Reddy KS 2003; Klein-clauss 2009; Smets YF 1999; Becker 2000). È stato stimato che l’aspettativa di vita per i pazienti con diabete tipo 1 con insufficienza renale cronica sia, dopo trapianto, di 23,4 anni in caso di trapianto

di pancreas e rene, di 20,9 anni in caso di trapianto di solo rene da donatore vivente, e di 12,8 anni quando si trapianti solo rene da donatore cadavere (Gruessner 2013). Per quanto riguarda il trapian-to di pancreas dopo rene e quello di pancreas isolatrapian-to, tali procedure sono state inizialmente asso-ciate a un impatto negativo sulla spettanza di vita dei pazienti (Venstrom JM 2003). Tuttavia, dopo un’analisi più approfondita della casistica (con esclusione, ad esempio, dei pazienti iscritti in più di un centro), è stato dimostrato che il trapianto di pancreas dopo rene e quello di pancreas isolato hanno in realtà un effetto neutro sulla mortalità (Gruessner 2004; Siskind E 2014). In particolare, la sopravvivenza dei pazienti a 4 anni dall’inizio dell’osservazione è risultata del 90,5% in caso trapian-to di pancreas isolatrapian-to e 88,3% dopo trapiantrapian-to di pancreas dopo rene, percentuali leggermente su-periori a quelle dei pazienti rimasti in lista (87,3 e 81,7%, rispettivamente) (Gruessner RW 2004). Più recentemente, i dati UNOS hanno dimostrato che il trapianto di pancreas da solo, se confrontato con i pazienti in attesa della lista, conferisce un beneficio di sopravvivenza di 6,7 anni (14,5 vs7,8), in termini di sopravvivenza mediana (propensity score matching) (Rana A 2015).

Il trapianto di pancreas, nelle sue varie modalità, ripristina la secrezione endogena di insulina e i meccanismi della sua regolazione, normalizzando stabilmente e nel lungo periodo i valori glicemici

e l’emoglobina glicata, nonché eliminando il rischio di ipoglicemie (Rickels 2012; White SA 2009).

Vengono anche ripristinati la secrezione di glucagone e, almeno in parte, il sistema della contro-regolazione insulinica (White SA 2009). La produzione epatica di glucosio si normalizza, il profilo lipidico migliora e si hanno effetti positivi sul metabolismo proteico (White SA 2009). L’effetto del trapianto di pancreas sulle complicanze croniche del diabete non è semplice da definire, in quanto nei pazienti sottoposti a trapianto il danno vascolare è spesso avanzato. Diversi studi (White SA 2009; Boggi U 2013; Gremizzi C 2010) hanno riportato effetti benefici a lungo termine dei diversi tipi di trapianto di pancreas sulle complicanze croniche microvascolari del diabete [tra cui la nefro-patia diabetica (Fioretto P 1998; Fiorina P 2007; Fioretto P 2006; Coppelli 2005), la neuronefro-patia auto-nomica e periferica (Navarro 1997; Martinenghi S 1997; Kennedy WR 1990), la gastroparesi (Gaber A 1991), la retinopatia (Giannarelli R 205; Koznarova 2000; Giannarelli 2006)], e sulle complicanze macrovascolari [tra cui la vasculopatia cerebrale (Biesenbach 2005; Morrissey 1997; La Rocca E 2001; Larsen JL 2004; Larsen JL 2002; La Rocca E 1995; Jukema 2002), la funzione cardiaca (Gaber AO 1995; Fiorina P 2000; Coppelli 2003; Folli F 2010; Fiorina P 2012; Occhipinti M 2014) e la fun-zione sessuale (Salonia 2011). È tuttavia da tener presente che alcuni farmaci immunosoppressori (in particolare gli inibitori dellacalcineurina), sono nefrotossici, e pertanto in caso di trapianto di pan-creasisolato la funzione renale deve essere ragionevolmente ben conservata (filtrato glomerulare dialmeno 60 ml/min) (Choudhary 2015).

Il trapianto di pancreas comporta rischi relativi alla procedura chirurgica in sé, nonché rischi do-vuti all’uso della terapia antirigetto (in particolare infezioni e rischio neoplastico). Tuttavia, grazie al miglioramento delle procedure chirurgiche [recentemente è stato introdotto anche l’approccio robotico (Boggi U 2012)], la possibilità di perdita del trapianto per cause “tecniche” è diminuita in tuttele categorie di riceventi. Il trapianto di pancreas presenta comunque dal 10 al 20% di compli-canze chirurgiche che richiedono un intervento diri-laparotomia (Gruessner 2014). Tra le complican-ze dovute alla terapia immunosoppressiva, le infezioni continuano ad essere tra le cause primarie di morbilità e mortalità (Gruessner RW 2004; Rostambeigi N 2010). Tali infezionisono più comuni nei primi mesi successivi al trapianto, per diminuire successivamente. I principali patogeni coinvolti sono batterici (Staphylococcus, Pseudomonas aeruginosa, Clostridium difficile) e virali (soprattutto citomegalovirus), anche se possono verificarsi infezioni fungine (Candida). L’incidenza di tumori secondari a immunosoppressione è simile nei pazienti trapiantati di pancreas rispetto a quella ripor-tata per altritipi di trapianto di organi solidi (Stratta 1998; Girman P 2011). Tenendo ben presente tutto questo, va comunque sottolineato che, come visto nei precedenti paragrafi, la sopravvivenza è significativamente più elevata nei pazienti che ricevono trapianto di pancreas e rene rispetto a chi non è trapiantato.

Le controindicazioni al trapianto di pancreas sono per molti aspetti simili a quelle da tener pre-senti in ogni tipologia di trapianto. Esse comprendono: positività per HIV (salvo protocolli specifici), neoplasie attive, infezioni attive o croniche resistenti al trattamento, insufficienza cardiaca gravee/o cardiopatie non correggibili, grave insufficienza respiratoria cronica, grave aterosclerosi polidistret-tuale, anomalie congenite del tratto urinario gravi e non correggibili (valido nel caso di associazione con il trapiantodi rene), trombosi venosa iliaca bilaterale, coagulopatie persistenti e non trattabili,

ritardo mentalesevero in contesto sociale sfavorevole, problemi psicologici gravi, abuso di alcol, tossicodipendenza, obesità, età avanzata. Infine, come ricordato in precedenza, nel caso di tra-pianto di pancreas dopo rene o pancreas isolato la funzione renale deve essere ragionevolmente conservata.

Risultati clinici del trapianto allogenico di isole

Si stima che più di 1.400 trapianti di isole siano stati eseguiti in tutto il mondo fino a ora. Anche se tale trapianto è ancora considerato una procedura sperimentale in vari paesi (in Italia è ricono-sciuta ma non rimborsata dal SSN), in altri, tra cui il Canada, il Regno Unito, la Svizzera, il Belgio, i paesi Scandinavi, è stato incluso negli standard di cura del paziente. Negli Stati Uniti, sono in corso due studi finanziati dal National Institutes of Health per ottenere una domanda di licenza biologica (BLA) dalla Food and Drug Administration (FDA) (Markmann 2016). Nel 2016 sono stati pubblicati i dati del primo di questi studi (Hering BJ 2016). Si tratta di uno studio di fase 3 a braccio singolo multicentrico che ha coinvolto 48 soggetti adulti con diabete di tipo 1 con durata maggiore di 5 anni, assenza di peptide C sotto stimolo e ipoglicemie severe. L’endpoint primario è stato il rag-giungimento di un controllo metabolico ottimale inteso come HbA1c <7% in assenza di episodi di ipoglicemia severa, endpoint che è stato raggiunto nell’87.5% e nel 71% dei soggetti ad uno e due anni dal trapianto, rispettivamente (Hering BJ 2016).

Il trapianto di isole si caratterizza per la sua relativa semplicità. Viene infatti eseguito in aneste-sia locale ed è facilmente ripetibile nello stesso ricevente. Per tali motivi tale approccio potrebbe rappresentare un’alternativa al trapianto di pancreas. I costi, il tecnicismo della procedura, le ca-ratteristiche variabili delle isole pancreatiche insieme alle numerose differenze nelle procedure e nei trattamenti tra i vari centri costituisco notuttavia un fattore limitante al completamento di trial multicentrici controllati randomizzati. Dalla pubblicazione del protocollo di Edmonton, i risultati del trapianto d’isole sono sostanzialmente migliorati, e secondo il recente rapporto del registro inter-nazionale CITR, il tasso d’indipendenza dall’insulina dopo infusione (ITA e IAK) è del 66% a 1 anno e 44% a 3 anni, con risultati migliori nei centri più esperti (insulino-indipendenza> 50% a 5 anni dal trapianto). Se si considera la durata della funzione del trapianto misurata come livelli di C-pepti-de ≥0.3 ng/mL, indipenC-pepti-dentemente dall’insulino-indipenC-pepti-denza, circa l’80% C-pepti-dei pazienti trapiantati hanno una persistente funzione a 5 anni dall’infusione. È importante rilevare che la presenza della sopravvivenza del trapianto, definita come valori di C-peptide> 0,3 ng/ml, è in grado di proteggere il paziente dall’ipoglicemia severa (Johnson JA 2004).

Risultati incoraggianti sono stati pubblicati negli anni sui molteplici effetti benefici del trapianto di isole sulla progressione delle complicanze micro e macroangiopatiche del diabete (Thompson DM 2011; Cure P 2008; Toso C 2006; Fiorina P 2003; Fiorina P 2005; Maffi P 2007; Senior PA 2007;

Gillard P 2014; Fung MA 2007; Leitao CB 2009), tra cui, in particolare, la stabilizzazione o la ridot-ta progressione della retinopatia (Thompson DM 2011; Lee TC 2005; Warnock 2008; Venturini M 2006) e della neuropatia (Lee TC 2005; Del Carro U 2007; Vantyghem MC 2014; D’Addio F 2014).

Inoltre, nei riceventi di IAK sono stati segnalati miglioramenti della disfunzione cardiovascolare ed endoteliale, riduzione del profilo aterotrombotico, ridotta incidenza di eventi cardiovascolari e tassi di sopravvivenza più elevati (Fiorina P 2005; D’Addio F 2014; Fiorina P 2005; Danielson KK 2013;

Fiorina P 2003). L’effetto protettivo del trapianto di isole nei confronti delle complicanze croniche del diabete è stato confermato recentemente anche in due trial clinici controllati in cui il gruppo di controllo era rappresentato da pazienti in terapia insulinica intensiva (Thompson DM 2011; Warnock GL 2008).

Risultati clinici del trapianto autologo di isole

Considerando le casistiche più numerose, un terzo dei pazienti della serie dell’Università del Minnesota ha raggiunto l’indipendenza dall’insulina dopo autotrapianto di isole pancreatiche, e la maggior parte dei pazienti ha mostrato funzione del trapianto, come documentato dalla presenza divalori adeguati di C-peptide (Sutherland DE 2012; Webb MA 2008). Altri gruppi hanno pubblica-to risultati simili, con una percentuale di insulino-indipendenza compresa tra il 22 e il 40% (Sutpubblica-ton

Considerando le casistiche più numerose, un terzo dei pazienti della serie dell’Università del Minnesota ha raggiunto l’indipendenza dall’insulina dopo autotrapianto di isole pancreatiche, e la maggior parte dei pazienti ha mostrato funzione del trapianto, come documentato dalla presenza divalori adeguati di C-peptide (Sutherland DE 2012; Webb MA 2008). Altri gruppi hanno pubblica-to risultati simili, con una percentuale di insulino-indipendenza compresa tra il 22 e il 40% (Sutpubblica-ton

Im Dokument per la cura del diabete mellito 2018 (Seite 84-93)