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DIABETE DI TIPO 2 TERAPIA NON INSULINICA

Im Dokument per la cura del diabete mellito 2018 (Seite 93-117)

I benefici dell’identificazione e della diagnosi precoce dei casi di diabete asintomatico non sono ancora chiaramente quantificati e possono variare in base ai contesti e alle

DIABETE GESTAZIONALE

G. TERAPIA FARMACOLOGICA DEL DIABETE

3. DIABETE DI TIPO 2 TERAPIA NON INSULINICA

Il farmaco di prima scelta per il trattamento dei soggetti con diabete tipo 2 è la metformina. I A In caso di marcato scompenso glicometabolico o presenza di sintomi specifici del diabete, an-che nel paziente non precedentemente trattato con farmaci si può prendere in considerazione sin dall’inizio la terapia con metformina da subito associata a un’altra molecola. I B Qualora la monoterapia con metformina non sia sufficiente ad ottenere o mantenere un buon controllo glicometabolico, è necessario associare un secondo farmaco. Quando la combina-zione della metformina con un altro farmaco non è sufficiente a mantenere un soddisfacente controllo della glicemia, si deve aggiungere un terzo farmaco. I A In associazione a metformina, sulla base del profilo complessivo di efficacia, tollerabilità e sicu-rezza, pioglitazone, inibitori DPP4, agonisti GLP1 o inibitori SGLT2 sono preferibili rispetto a

acarbose, sulfoniluree o glinidi. I B

La scelta dei farmaci da aggiungere alla metformina deve essere effettuata tenendo conto del-le caratteristiche del paziente, comprese del-le comorbilità, i rischi e i benefici di ciascun farmaco,

individualizzando la terapia. VI B

Nei pazienti obesi, si devono preferire, ove possibile, i farmaci che non determinano aumento di peso, ovvero, oltre alla metformina, agonisti del GLP-1, inibitori DPP4 e inibitori SGLT2. I B I farmaci che sono in grado di conseguire calo ponderale (agonisti GLP1 e inibitori SGLT2) sono

efficaci anche nei soggetti normopeso o sovrappeso. I A

In quei pazienti che, per età avanzata, comorbilità, uso di macchinari o guida protratta di vei-coli, sono a rischio di subire conseguenze gravi dall’ipoglicemia, è preferibile utilizzare, entro i limiti del possibile, farmaci che non provocano ipoglicemia. I B La glibenclamide, che si associa ad un rischio di ipoglicemia maggiore anche rispetto alle altre

sulfoniluree, non deve essere mai usata. I A

Qualora non si possa evitare l’uso di una sulfanilurea, la gliclazide è da preferire rispetto alle altre molecole per un profilo di sicurezza più favorevole, sia per l’incidenza di ipoglicemie che

sul piano cardiovascolare. III B

Nei pazienti con pregressi eventi cardiovascolari maggiori SGLT-2 inibitori, GLP-1 agonisti a lunga durata d’azione e pioglitazone devono essere considerati farmaci di prima scelta, salvo

controindicazioni. II A

Quando il controllo glicemico con farmaci non insulinici anche in politerapia non è

soddisfacen-te, è necessario iniziare la terapia insulinica. I A

Il trattamento con insulina, anche transitorio, associato o meno a metformina, deve essere preso in considerazione in qualsiasi momento della storia naturale della malattia, in caso di marcato scompenso glicometabolico o sintomi specifici del diabete. II B TERAPIA INSULINICA

Evidenze fondamentali

Lo scopo principale del trattamento farmacologico del diabete di tipo 2 è quello di ridurre la glicemia e l’emoglobina glicata, raggiungendo gli obiettivi terapeutici e minimizzando gli effetti collaterali. Ciò richiede spesso combinazioni di più farmaci (Turner et al., 1999).

I trials clinici disponibili hanno dimostrato che la riduzione dell’iperglicemia consente di ridurre l’incidenza e la progressione delle complicanze microvascolari (Ohkubo et al., 1995; UKPDS Group 1998; Schichiri et al., 2000; ADVANCE Collaborative Group, 2008; Ismail-Beigi et al., 2010; AC-CORD Eye Study Group, 2010; Zhu et al., 2013). Effetti più modesti, ma comunque apprezzabili, si ottengono anche sulle complicanze cardiovascolari: tra i trial sugli effetti del miglioramento del controllo metabolico a lungo termine, solo il follow-up a lungo termine dello UKPDS ha dimostrato una riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolare (Holman et al., 2010), mentre nel “core study” dello UKPDS si è osservato solo un trend verso la riduzione dell’incidenza di infarto del mio-cardio (UKPDS Group, 2009) e nei trial ADVANCE, ACCORD e VADT non si è rilevato alcun effetto significativo sull’incidenza di eventi (ADVANCE Collaborative Group, 2008; ACCORD Study Group, 2008; Duckworth et al., 2009). Peraltro, il follow-up a 5 anni dello studio ACCORD, sebbene abbia evidenziato una riduzione dell’infarto del miocardio non fatale, ha confermato l’incremento della mortalità totale (ACCORD Study Group, 2011) e il follow-up a 5.6 anni dello studio VADT ha eviden-ziato una riduzione della morbilità cardiovascolare senza effetti sulla mortalità (Hayward et al 2015).

L’assenza di risultati significativi sugli eventi macrovascolari nei grandi trials potrebbe essere dovuta alla insufficiente potenza statistica dei singoli studi; due di essi (UKPDS e ADVANCE) erano stati disegnati per endpoint compositi più ampi della sola malattia cardiovascolare e comprendenti an-che le complicanze microvascolari, mentre un terzo (ACCORD) è stato interrotto precocemente per un inatteso eccesso di mortalità. Combinando insieme i grandi trial disegnati per valutare l’effetto del miglioramento del controllo glicemico nel diabete di tipo 2, l’intensificazione della terapia del diabete si associa ad una riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascolari (di circa il 10%, a fronte di una riduzione di emoglobina glicata di circa 1% - 11 mmol/mol), senza effetti complessivi positivi né negativi sulla mortalità cardiovascolare (Turnbull et al., 2009; Mannucci et al., 2009). Peraltro,

La terapia insulinica è necessaria nel caso che sia presente chetoacidosi, oppure sindrome

ipe-rosmolare non chetosica. I A

La scelta dello schema di terapia insulinica deve essere compiuto sulla base dell’andamento nel corso della giornata delle glicemie del singolo paziente, tenendo conto anche dell’aderenza

alla terapia. VI B

L’uso degli analoghi lenti è preferibile rispetto all’insulina umana NPH e quello degli analoghi rapidi è preferibile rispetto all’insulina umana regolare. I A Se non controindicata, è consigliabile mantenere in terapia la metformina, anche quando si

inizia il trattamento con insulina. I A

L’insulina deve essere titolata sulla base delle glicemie, fino al raggiungimento degli obiettivi

terapeutici prefissati. I A

L’aggiunta alla terapia insulinica di inibitori SGLT2, agonisti del GLP1 e inibitori DPP4, con o senza metformina, consente di ridurre le dosi giornaliere di insulina e limitare l’incremento

ponderale. I B

L’uso del microinfusore può essere preso in considerazione nei pazienti che non raggiungono un controllo glicemico accettabile nonostante l’ottimizzazione della terapia insulinica

basal-bo-lus multiiniettiva. II C

l’intensificazione del trattamento, in questi grandi trial, si accompagnava ad aumento ponderale e ad un incremento del rischio di ipoglicemie, che a sua volta potrebbe incidere negativamente sulla mortalità cardiovascolare (Turnbull et al., 2009; Mannucci et al., 2009). Nella scelta del farmaco (o dei farmaci) da utilizzare, quindi, occorre cercare di limitare, per quanto possibile, l’aumento di peso e l’incidenza di ipoglicemie.

Un altro elemento di cui tener conto sono le possibili differenze tra le varie molecole negli effetti sulle complicanze microvascolari e macrovascolari. Alcuni farmaci sono risultati associati ad una ri-duzione della morbilità e mortalità cardiovascolare (UKPDS Group, 1998a; PROactive Investigators, 2005; Zinman et al., 2015; Marso et al., 2015) che non si sono osservati con altre molecole (UKPDDS Group, 1998a; Gerstein et al., 2012; Scirica et al., 2013; White et al., 2013; Green et al., 2015; Pfef-fer et al., 2015).

Infine, la scelta del farmaco deve essere compiuta considerando le caratteristiche del singolo paziente, valutando se queste possono incidere sul profilo di sicurezza e tollerabilità, se possono condizionarne l’efficacia ipoglicemizzante o se, al contrario, il farmaco può avere effetti favorevoli su eventuali patologie associate al diabete. Tra i vari elementi da considerare, c’è innanzitutto la funzione renale del paziente, che condiziona la prescrivibilità e il dosaggio dei farmaci (Tabella 4.H1).

Nei paragrafi che seguono, verranno esaminate le caratteristiche principali delle varie classi di farmaci disponibili, descritte nell’ordine con cui sono diventate disponibili in Italia. Per le valutazioni di efficacia, si terrà conto principalmente dei risultati dei trial di confronto diretto con comparatori attivi. Per gli effetti cardiovascolari, si prenderanno come punto di riferimento i trial specificamente disegnati per endpoint cardiovascolari, e solo secondariamente dati provenienti da trial disegnati per altri scopi.

Insulina

Efficacia. La terapia insulinica ha la caratteristica di conservare la relazione dose-risposta senza apparente dose massima efficace; questo significa che le dosi di insulina possono teoricamente essere aumentate fino al raggiungimento dell’effetto desiderato. Per tale motivo, l’insulina viene generalmente considerata la terapia più efficace in assoluto anche nel diabete di tipo 2. In realtà, l’incremento delle dosi è limitato dagli effetti collaterali, ed in particolare dal rischio di ipoglicemia.

Questo spiega perché, in alcuni trial, terapie non insuliniche si dimostrino più efficaci sull’emoglobi-na glicata dell’insulisull’emoglobi-na basale (Diamant et al., 2014; Giorgino et al., 2015). Caratteristiche specifiche dell’insulina sono la grande rapidità nell’azione ipoglicemizzante e la flessibilità negli schemi di somministrazione.

Sicurezza e tollerabilità. I principali fattori limitanti la terapia insulinica sono l’aumento di peso e, soprattutto, l’ipoglicemia. L’incidenza di ipoglicemia può essere limitata con l’uso degli analoghi basali e rapidi e con una prescrizione ragionata degli schemi di terapia insulinica più adatti al sin-golo paziente (vedi oltre).

Effetti cardiovascolari. Gli effetti della terapia insulinica sul rischio cardiovascolare sono stati a lungo oggetto di discussione nella comunità scientifica. Il trial ORIGIN, condotto su pazienti con diabete di tipo 2 di recente insorgenza ed alto rischio cardiovascolare allo scopo di dimostrare un effetto protettivo della terapia insulinica, non ha evidenziato alcuna riduzione della morbilità o mor-talità cardiovascolare con insulina glargine rispetto a placebo; allo stesso tempo, però, questo trial, condotto su oltre 12000 pazienti per più di 6 anni, non ha mostrato alcun segnale di rischio, dimo-strando l’assoluta sicurezza della terapia insulinica sul rischio cardiovascolare (Gerstein et al., 2012).

Altri effetti. Una terapia insulinica precoce, nel paziente di nuova diagnosi con glicemie elevate, consente di ridurre l’impatto della glucotossicità, migliorando la funzione b cellulare a lungo termi-ne (Ilkova et al., 1997; Park et al., 2003; Li et al., 2004; Ryan et al., 2004; Weng et al., 2008).

Gli schemi di terapia insulinica. Grazie alla presenza di secrezione insulinica residua e alla pos-sibilità di combinare l’insulina ad altri farmaci, nel diabete di tipo 2 si può adoperare una ampia va-rietà di schemi terapeutici (solo insulina basale, insulina basale con aggiunta di insulina prandiale a uno o più pasti, schema basal-bolus, solo insulina prandiale a uno o più pasti, in casi particolari insu-line premiscelate). Gli studi di confronto tra schemi insulinici diversi nel diabete di tipo 2 sono pochi.

In due trial randomizzati si sono confrontati insulina basale e insulina prandiale ai pasti, ambedue in associazione a farmaci orali. A breve-medio termine, l’insulina rapida ai pasti era lievemente più efficace, ma si associava ad un rischio più elevato di ipoglicemia e ad un maggiore aumento pon-derale; le differenze tendevano però ad scomparire con la prosecuzione del trattamento (Holman et al., 2007; Holman et al., 2009; Bretzel et al., 2008).

Tabella 4.H1. Terapia non insulinica nel diabete di tipo 2 con insufficienza renale cronica.

eGFR fino a

(ml/min*1.73 m2) 90 80 70 60 50 40 30 20 15 Dialisi

Metformina Acarbosioa Gliptine Sitagliptin Vildagliptin Saxagliptinb Linagliptin Alogliptin GLP1 agonisti Exenatide Exenatide LAR Liraglutideb Lixisenatide Dulaglutideb Sulfoniluree Glibenclamide Gliclazide Glimepiride Repaglinide Pioglitazone Gliflozine Dapagliflozin Empagliflozinc Canagliflozinc

Verde: utilizzabile senza aggiustamenti di dose. Giallo: utilizzabile con cautela e/o aggiustando le dosi. Rosso: controindicato.

a Utilizzabile per eGFR fino a 25 ml/min*1.73 m2; b Utilizzabile per eGFR fino a 15 ml/min*1.73 m2

c Iniziare la terapia, senza necessità di aggiustamenti di dosi, se eGFR supera 60 ml/min*1.73 m2; se, durante la terapia, eGFR scende sotto 45 ml/min*1.73 m2, sospendere il farmaco

La scelta dell’insulina basale. Le formulazioni disponibili per l’insulinizzazione basale sono l’in-sulina intermedia NPH (neutral protamine Hagedorn) e gli analoghi glargine (di cui si è reso recen-temente disponibile un biosimilare), detemir e degludec. Glargine è disponibile in due formulazio-ni, da 100 e 300 u/ml. I trial clinici di confronto mostrano che, a parità di efficacia, glargine (nella formulazione U100) si associa ad un minor rischio di ipoglicemia, soprattutto notturna, rispetto a NPH (Rosenstock et al., 2005; Horvath et al., 2007). Anche l’insulina detemir ha dimostrato nel con-fronto con la NPH una riduzione del rischio di ipoglicemia (Horvath et al., 2007; Frier et al., 2013);

rispetto a glargine U100, detemir ha, a parità di efficacia, un simile rischio ipoglicemico (Swinnen et al., 2011; Meneghini et al., 2013) e determina un minor incremento ponderale, ma comporta un fabbisogno di insulina lievemente superiore e necessita più spesso di una doppia somministrazione giornaliera (Swinnen et al., 2011). La formulazione U-300 di glargine sembra associarsi ad una ridu-zione dell’incidenza di ipoglicemia, e ad un aumento del fabbisogno di insulina, rispetto a U-100 (Ritzel et al., 2015). Nei trial diretti di confronto, l’insulina degludec si associa ad un minor rischio di ipoglicemia, in particolare notturna, e ad un minor fabbisogno di insulina rispetto a glargine U-100 (Ratner et al., 2013; Russell-Jones et al., 2015). La riduzione del rischio di ipoglicemie con degludec rispetto a glargine U-100 è stata confermata dallo studio DEVOTE, che è stato condotto per dimo-strare la sicurezza cardiovascolare di degludec (Marso et al., 2017).

Le associazioni precostituite di insulina basale e agonisti del recettore del GLP-1. Sono disponibili associazioni precostituite di degludec e liraglutide (iDegLira) e di glargine e lixisenatide (LixiLan). Nei trial clinici di confronto diretto con la sola insulina basale, con adeguata titolazione, queste associazioni producono una riduzione dell’emoglobina glicata più ampia, con effetti più favorevoli sul peso corporeo e con minor rischio di ipoglicemia (Liskopoulou et al., 2017). Le asso-ciazioni precostituite iDegLira e LixiLan non possono essere considerate sostitutive delle associa-zioni estemporanee di insulina basale e agonisti del recettore del GLP-1, in quanto, a causa della necessità di titolare l’insulina, in gran parte dei pazienti non consentono di raggiungere dosi piene di agonista del recettore del GLP-1. Esse possono però rappresentare un’alternativa all’insulina basale, oppure un’opzione per l’intensificazione della terapia con insulina basale, qualora non sia desiderata l’associazione con altri farmaci incretinici.

La scelta dell’insulina prandiale. Tra le formulazioni disponibili di insulina prandiale, gli analoghi rapidi (lispro, aspart o glulisine) sono preferibili all’insulina umana regolare, in quanto comportano una riduzione dell’iperglicemia postprandiale precoce con minor rischio di ipoglicemia post-pran-diale tardiva (Mannucci et al., 2008). Faster aspart, rispetto alla formulazione tradizionale di Aspart, si associa ad un controllo più efficace della glicemia in fase post-prandiale, associato ad un aumen-to dell’incidenza di ipoglicemia in quella fase, senza differenze di emoglobina glicata o ipoglicemie complessive (Boewering et al., 2017). Per lispro, è disponibile anche un biosimilare. Sebbene esi-stano tra un analogo e l’altro, alcune differenze di cinetica, al momento non emergono elementi tali da far preferire un analogo rapido rispetto all’altro nella terapia del diabete di tipo 2.

Uso dei microinfusori. I risultati delle metanalisi di trial sull’uso dei microinfusori nel diabete di tipo 2, in confronto alla terapia multiiniettiva, sono discordanti: alcune mostrano una sostanziale parità di effetti su controllo glicemico e ipoglicemie (Monami et al., 2009), seppure con possibili vantaggi del microinfusore sulla qualità della vita (Bode et al., 2010), mentre altri indicano una mag-gior efficacia del microinfusore sull’emoglobina glicata, senza effetti negativi su peso corporeo e ipoglicemie (Pickup et al., 2017). Le differenze di risultati sono attribuibili a differenze nei trial inclusi nelle diverse meta-analisi (modalità del trattamento con microinfusore, tipo di terapia insulinica multiiniettiva utilizzata come confronto, emoglobina glicata iniziale). In particolare, il trattamento con microinfusore sembra avere effetti sul controllo glicemico simili alla terapia multiiniettiva se impiegato in pazienti di nuova diagnosi o comunque non precedentemente insulino-trattati (Weng et al., 2008); al contrario, l’introduzione del microinfusore si associa ad un rilevante miglioramento del controllo glicemico nei pazienti già in terapia insulinica multiiniettiva non adeguatamente com-pensati (Reznick et al., 2014). In questi ultimi pazienti, l’uso del microinfusore risulta essere anche costo-efficace (Roze et al., 2016). L’uso del microinfusore nel diabete di tipo 2 è quindi raccomanda-bile solo nei pazienti che non riescono ad ottenere un controllo glicemico soddisfacente nonostante l’ottimizzazione della terapia insulinica basal-bolus multiiniettiva. I microinfusori sofisticati tradizio-nalmente usati per il tipo 1, con aggiustamenti flessibili della basale e calcolatori di bolo potrebbero non essere utili nel diabete tipo 2.

Conclusioni. L’insulina resta uno strumento essenziale anche nella terapia del diabete di tipo 2.

Essa è indicata in tutti i pazienti in cui non si raggiungono o mantengono gli obiettivi terapeutici con altri farmaci. In questi casi, si dovrà, se possibile, mantenere comunque il preesistente trattamento con metformina, gliptine, agonisti GLP1 o gliflozine, se non cointroindicato. La terapia insulinica è consigliabile anche all’esordio del diabete, qualora si abbia scompenso glicometabolico o siano presenti sintomi specifici del diabete, ed è comunque necessaria in caso di chetoacidosi o sindrome iperosmolare non chetosica; inoltre, essa è opportuna quando si verifichino episodi di scompenso glicometabolico legati a malattie intercorrenti o altre situazioni anche transitorie. In tutti questi casi, la terapia deve essere rivalutata quando si raggiungono glicemie accettabili, per verificare la pos-sibilità di sospendere l’insulina. Riguardo alla scelta dello schema terapeutico, nella maggior parte dei casi esso sarà rappresentato da un’iniezione giornaliera di insulina basale, cui eventualmente aggiungere in un secondo tempo somministrazioni prandiali di insulina ad azione rapida; peraltro, lo schema della terapia va sempre adattato al singolo paziente, secondo l’andamento delle glice-mie domiciliari. In ogni caso, per l’insulina basale si dovrà scegliere un analogo lento e per l’insulina prandiale un analogo rapido. Qualora non si raggiunga un compenso glicemico accettabile con la terapia insulinica multiiniettiva ottimizzata, si dovrà prendere in considerazione l’opzione del mi-croinfusore, selezionando i modelli di più semplice utilizzo.

Sulfoniluree

Le sulfoniluree esercitano la loro azione ipoglicemizzante stimolando la secrezione in modo glu-cosio-indipendente attraverso il legame a un recettore presente sulle b cellule (Sulphonyl Urea Receptor 1) evocando un’immediata liberazione d’insulina dai granuli intracellulari e sostenendo un rilascio prolungato dei granuli di nuova sintesi.

Efficacia. In monoterapia, le sulfoniluree hanno un’efficacia a breve termine simile alla metfor-mina e superiore ai glitazoni, ma inferiore agli agonisti del GLP1 (Garber et al., 2009); a più lungo termine, le sulfoniluree sono meno efficaci sia della metformina che dei glitazoni (Kahn et al., 2006).

In associazione a metformina, negli studi di confronto diretto a breve termine (24-52 settimane), le sulfoniluree hanno un’efficacia superiore ad acarbosio (Wang et al., 2011) e agli inibitori della DPP4 (Zhang et al., 2014), simile al pioglitazone (Charbonnel et al., 2005; Matthews et al., 2005) e agli agonisti del GLP-1 (Nauck et al., 2009), e uguale o inferiore agli inibitori SGLT-2 (Cefalu et al., 2013; Nauck et al., 2011); a più lungo termine (2-4 anni), l’efficacia delle sulfoniluree è simile o inferiore agli inibitori della DPP4 (Zhang et al., 2014; Del Prato et al., 2014), ed inferiore al pio-glitazone (Charbonnel et al., 2005; Matthews et al., 2005), agli inibitori SGLT-2 (Nauck et al., 2014;

Ridderstråle et al, 2014) e agli agonisti del GLP-1 (Gallwitz et al., 2012). Nel complesso, le sulfoni-luree mostrano un’azione sull’iperglicemia rapida ma transitoria; questo andamento è compatibile con i dati sperimentali, che mostrano che le sulfoniluree hanno un effetto pro-apoptotico a livello b cellulare (Maedler et al., 2005).

Sicurezza e tollerabilità. Il trattamento con sulfoniluree si associa ad incremento ponderale e comporta il rischio di ipoglicemie. Tale rischio è particolarmente elevato quando le sulfoniluree vengono utilizzate in associazione all’insulina (Johnson et al., 1996; Karl et al., 2013). Nei trial di confronto diretto, la glibenclamide è associata ad un rischio di ipoglicemia più elevato rispetto alle altre molecole della classe (Harrower, 1985; Holstein et al., 2001; Gangji et al., 2007).

Effetti cardiovascolari. Le sulfoniluree sono in grado di interagire con un canale al potassio ATP-dipendente miocardico, strutturalmente simile al loro recettore b-cellulare, riducendo le ca-pacità di adattamento del miocardiocita all’ischemia. La rilevanza clinica di questo fenomeno è dibattuta da decenni. Nel trial UGPD (University Group Diabetes Program), la tolbutamide - una sulfanilurea non più in commercio - era associata ad un aumento di mortalità cardiovascolare (Miller et al., 1976); l’interpretazione del risultato era però resa difficile da alcuni limiti metodologici dello studio. Nello UKPDS, la morbilità e mortalità cardiovascolare con sulfoniluree erano simili al gruppo di controllo (UKPDS Group, 1998), e addirittura ridotte nel follow-up a lungo termine (Holman et al., 2008), senza differenze rilevanti rispetto all’insulina. Nello stesso studio però, le sulfoniluree si associavano ad una mortalità più alta rispetto alla metformina (UKPDS Group, 1998a). Peraltro, lo UKPDS, essendo stato disegnato per valutare l’effetto della terapia intensificata nel suo complesso, non aveva una potenza statistica sufficiente per esplorare in modo affidabile le eventuali differenze tra i vari farmaci; inoltre, la maggior parte dei pazienti, negli anni, erano sottoposti a regimi

tera-peutici complessi, rendendo problematico il confronto tra farmaci. In pazienti prevalentemente in prevenzione primaria, lo studio TOSCA.IT ha confrontato le sulfoniluree con il pioglitazone, senza rilevare differenze significative nell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori; in un’analisi post-hoc sui pazienti in trattamento, però, il pioglitazone era associato ad una incidenza signficativamen-te inferiore di eventi (Vaccaro et al., 2017). Le metanalisi di studi clinici randomizzati hanno fornito risultati discordanti: alcuni hanno osservato un aumento significativo di mortalità da tutte le cause (Monami et al., 2013; Phung et al., 2013) e di incidenza di ictus (Liu et al., 2016) nei soggetti trattati con sulfoniluree, mentre in altre metanalisi, con criteri di selezione dei trial più restrittivi, le differen-ze tra i gruppi non raggiungono la significatività statistica (Selvin et al., 2008; Varvaki Rados et al., 2016). Alcune evidenze suggeriscono che la gliclazide abbia una maggior sicurezza cardiovascolare rispetto ad altre molecole della stessa classe, mentre la glibenclamide potrebbe essere associata ad un rischio maggiore (vedi oltre).

tera-peutici complessi, rendendo problematico il confronto tra farmaci. In pazienti prevalentemente in prevenzione primaria, lo studio TOSCA.IT ha confrontato le sulfoniluree con il pioglitazone, senza rilevare differenze significative nell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori; in un’analisi post-hoc sui pazienti in trattamento, però, il pioglitazone era associato ad una incidenza signficativamen-te inferiore di eventi (Vaccaro et al., 2017). Le metanalisi di studi clinici randomizzati hanno fornito risultati discordanti: alcuni hanno osservato un aumento significativo di mortalità da tutte le cause (Monami et al., 2013; Phung et al., 2013) e di incidenza di ictus (Liu et al., 2016) nei soggetti trattati con sulfoniluree, mentre in altre metanalisi, con criteri di selezione dei trial più restrittivi, le differen-ze tra i gruppi non raggiungono la significatività statistica (Selvin et al., 2008; Varvaki Rados et al., 2016). Alcune evidenze suggeriscono che la gliclazide abbia una maggior sicurezza cardiovascolare rispetto ad altre molecole della stessa classe, mentre la glibenclamide potrebbe essere associata ad un rischio maggiore (vedi oltre).

Im Dokument per la cura del diabete mellito 2018 (Seite 93-117)