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DIABETE DI TIPO 1

Im Dokument per la cura del diabete mellito 2018 (Seite 75-84)

I benefici dell’identificazione e della diagnosi precoce dei casi di diabete asintomatico non sono ancora chiaramente quantificati e possono variare in base ai contesti e alle

DIABETE GESTAZIONALE

G. TERAPIA FARMACOLOGICA DEL DIABETE

1. DIABETE DI TIPO 1

Lo schema di terapia raccomandato è quello basal-bolus da realizzare tramite terapia

multiiniettiva o con microinfusore. I A

Nella terapia basal-bolus multiiniettiva, si devono usare analoghi a breve durata d’azione per i boli prandiali e analoghi a lunga durata d’azione come insulina basale. I A La prescrizione di algoritmi di autogestione della terapia insulinica comprendenti anche la tecnica della “conta dei carboidrati” può facilitare il raggiungimento degli obiettivi glicemici. VI B In presenza di valori di HbA1c superiori all’obiettivo glicemico è necessario mettere tempestivamen-te in atto le opportune variazioni della tempestivamen-terapia finalizzatempestivamen-te a raggiungere rapidamentempestivamen-te e mantempestivamen-tenere nel

tempo il buon controllo glicemico. VI B

Per minimizzare la possibile scarsa aderenza alla terapia è importante che il clinico e il suo team edu-chino, informino, supportino e responsabilizzino il paziente alla congrua terapia insulinica. I A L’uso della terapia insulinica per infusione sottocutanea continua con microinfusore è indicato in sog-getti selezionati che presentino livelli di emoglobina glicata persistentemente superiori al target desi-derabile per il paziente, nonostante terapia multiiniettiva intensiva e ottimizzata, e/o con ipoglicemia ricorrente, ipoglicemia grave o notturna. Nei pazienti in età pediatrica, il microinfusore è raccoman-dato anche in caso di elevata insulino-sensibilità, compromissione dello stile di vita con la terapia

multiiniettiva, età inferiore a 2 anni. I A

La terapia con microinfusore deve essere prescritta da parte di un team esperto nel suo utilizzo. III B Una corretta tecnica di iniezione è essenziale per garantire un’ottimale azione dell’insulina. IIIB

Evidenze fondamentali

La terapia farmacologica del diabete di tipo 1 consiste nella terapia sostitutiva con insulina.

Esistono evidenze incontrovertibili che, nel diabete di tipo 1, il miglioramento del controllo gli-cemico consente di prevenire la comparsa e la progressione delle complicanze microvascolari (re-tinopatia, nefropatia) e della neuropatia diabetica (DCCT Research Group, 1993; Reichard et al., 1993; Wang et al., 1993); è assai probabile che vantaggi analoghi si abbiano, a lungo termine, nella prevenzione della malattia cardiovascolare, come indica il follow-up dello studio DCCT (Nathan et al., 2005). D’altro canto, la riduzione dell’emoglobina glicata e della glicemia attraverso l’intensifica-zione della terapia si accompagna ad un aumento del rischio di ipoglicemia (DCCT Research Group, 1993). Pertanto, il trattamento del diabete di tipo 1 mira al raggiungimento di glicemie non troppo elevate contenendo per quanto possibile il rischio di ipoglicemie. Questo può essere ottenuto at-traverso l’impiego di schemi terapeutici basal-bolus, come nel DCCT (Nathan et al., 1993); tali sche-mi consistono nella somsche-ministrazione di insulina a breve durata d’azione ai pasti (bolus), associata a una insulinizzazione basale ottenuta tramite iniezione sottocutanea di insulina ad azione lenta, oppure attraverso l’infusione sottocutanea continua di insulina ad azione rapida con microinfusori.

Terapia insulinica multiiniettiva

Negli studi storici sull’effetto dell’intensificazione della terapia sulle complicanze del diabete di tipo 1, la terapia basal-bolus veniva effettuata utilizzando insulina umana; nel caso della terapia multiiniettiva, si somministrava insulina umana regolare prima di ciascun pasto e si forniva l’insuli-nizzazione basale con l’insulina umana NPH (DCCT Research Group, 1993; Reichard et al., 1993).

Successivamente, si sono resi disponibili analoghi dell’insulina, sia ad azione rapida che ritardata. Il fabbisogno individuale di insulina è compreso in genere tra 0,5 e 1,0 unità/kg/giorno. In un regime terapeutico basal-bolus, il 50-70% di questo fabbisogno (comunque in dipendenza del quantitativo di carboidrati assunti) può essere fornito da analoghi ad azione rapida di insulina, il resto dall’insu-lina ad azione lenta.

Analoghi rapidi dell’insulina

Gli analoghi rapidi dell’insulina (lispro, aspart e glulisine) hanno un inizio di azione più rapido, una durata d’azione più breve e un picco di concentrazione plasmatica più ampio e precoce rispetto all’insulina umana regolare, consentendo un miglior controllo della glicemia in fase post-prandiale precoce e riducendo il rischio di ipoglicemia in fase post-prandiale tardiva (Home, 2012). Inoltre, la cinetica degli analoghi rapidi consente la somministrazione subito prima del pasto, anziché 20-30 minuti prima come l’insulina umana regolare, fatto gradito dai pazienti; la rapidità di azione si traduce anche in una maggior maneggevolezza nella variazione delle dosi di insulina sulla base dell’assunzione di cibo (Home, 2012). Sebbene alcuni studi controllati mostrino una riduzione dell’i-perglicemia dopo un pasto standard con gli analoghi rapidi rispetto all’insulina umana regolare (Heinemann et al., 1996; Lindholm et al., 1999; Rave et al., 2006), nel complesso dei trial disponibili l’impiego degli analoghi rapidi anziché dell’insulina regolare umana non comporta un miglioramen-to dell’emoglobina glicata nel diabete di tipo 1 (Siebenhofer et al., 2006). Occorre però ricordare che i trial di dimensioni maggiori, che prevedono la titolazione sia dell’insulina prandiale che di quella basale, non sono disegnati per evidenziare eventuali differenze nel compenso glicemico, quanto piuttosto le differenze nel rischio di ipoglicemia. A questo proposito, l’insieme di trial dispo-nibili mostra una significativa riduzione dell’incidenza di ipoglicemie gravi con gli analoghi rapidi rispetto all’insulina umana regolare (Siebenhofer et al., 2006). Sebbene esistano piccole differenze cinetiche fra i tre analoghi disponibili, sul piano clinico non emergono differenze di rilievo (Sie-benhofer et al., 2006; Home, 2012); esistono invece piccole diversità nella scheda tecnica, legate alla documentazione disponibile, per la possibilità di impiego in gravidanza e in età pediatrica, per le quali si rimanda ai rispettivi capitoli. Tutti e tre gli analoghi possono essere utilizzati senza partico-lari limitazioni nei pazienti con insufficienza renale. L’insufficienza epatica grave sembra modificare lievemente la cinetica di aspart (Holmes et al., 2005), ma non in modo clinicamente significativo;

la cinetica di lispro non sembra essere influenzata dalla funzione epatica, mentre per glulisine non esistono dati specifici.

Lispro è disponibile anche in formulazioni da 200 U/ml, con caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche sovrapponibili alle formulazioni tradizionali da 100 U/ml (de la Peña et al., 2016).

Per lispro 100 U/ml è disponibile anche un biosimilare, con caratteristiche sovrapponibili al prodot-to originale (Garg et al., 2017).

Per aspart, è disponibile anche una formulazione a più rapida durata d’azione (Faster Aspart). In un trial randomizzato su pazienti in terapia multiiniettiva, rispetto alla formulazione tradizionale di aspart, faster aspart si associava ad una riduzione dell’iperglicemia dopo pasto liquido standard, con un miglioramento marginale dell’emoglobina glicata e senza differenze nell’automonitoraggio domiciliare della glicemia e nella incidenza di ipoglicemia (Russell-Jones et al., 2017).

Analoghi lenti dell’insulina

Per quanto concerne gli analoghi lenti dell’insulina, sono disponibili tre diverse molecole (glargi-ne, detemir e degludec), con caratteristiche cinetiche diverse tra loro; per una delle tre (glargine), sono disponibili in commercio due diverse formulazioni (100 U/ml e 300 U/ml) che differiscono tra loro per velocità e durata dell’assorbimento.

In generale, tutti gli analoghi lenti hanno un’emivita più lunga rispetto all’insulina umana NPH;

inoltre, tutti presentano una maggiore riproducibilità nell’assorbimento da un giorno all’altro, con-sentendo una migliore stabilità della glicemia e, in ultima analisi, una riduzione del rischio di ipo-glicemia. I trial di confronto tra analoghi lenti dell’insulina e insulina umana NPH nel diabete di tipo 1 prevedono generalmente una titolazione aggressiva delle dosi in base alla glicemia a digiuno, in ambedue i gruppi di trattamento. Questo tipo di disegno è poco adatto per evidenziare even-tuali differenze di efficacia sull’emoglobina glicata, mentre mette facilmente in luce le differenze nel rischio di ipoglicemia. Nell’insieme di trial disponibili, nei pazienti con diabete di tipo 1, gli

analoghi lenti dell’insulina, rispetto all’insulina umana NPH si associano ad un’incidenza ridotta di ipoglicemie notturne e severe, con un piccolo miglioramento dell’emogobina glicata (Monami et al., 2009;Tricco et al., 2014).

Rispetto a glargine 100 U/ml (glargine U-100), detemir ha una durata d’azione lievemente più breve (Porcellati et al., 2007); ciò fa sì che, nei trial di confronto diretto su pazienti con diabete di tipo 1, debba essere somministrata più spesso due volte al giorno rispetto a glargine U-100 (Heller et al., 2009). A fronte di un simile rischio ipoglicemico e a parità di HbA1c, detemir richiede dosi lievemente più elevate (Heller et al., 2009; Laubner et al., 2014).

Alla concentrazione di 300 U/ml (glargine U-300), glargine viene assorbita più lentamente rispet-to a glargine U-100 (Becker et al., 2015); di conseguenza, garantisce una migliore copertura delle 24 ore, ed in particolare un miglior controllo delle glicemie nel tardo pomeriggio qualora venga somministrata alla sera (Bergenstal et al., 2017). Il fabbisogno di insulina basale è maggiore (di circa il 10-15%) con glargine U-300 rispetto a U-100 (Home et al., 2015). Nei trial di confronto diretto nel diabete di tipo 1, l’incidenza di ipoglicemie è inferiore con glargine U-300 rispetto a glargine U-100, ma la differenza tra i due gruppi tende a ridursi con il proseguire dell’osservazione, quando la titolazione conduce a dosi di insulina più alte per glargine U-300 (Home et al., 2015).

Degludec ha un’emivita superiore alle 24 ore, decisamente più lunga rispetto a glargine-100 o detemir; di conseguenza, fornisce concentrazioni pressoché stabili di insulina basale nel corso della giornata. Per le sue caratteristiche cinetiche, raggiunge lo steady state dopo 3-4 giorni dall’inizio del trattamento (Gough et al., 2013). Rispetto a glargine U-100, mostra una maggiore riproducibili-tà da un giorno all’altro nell’assorbimento e nell’azione biologica (Heise et al., 2012). Clinicamente, questa caratteristica si traduce in un minor rischio di ipoglicemia notturna rispetto a glargine U-100 (Lane et al., 2017). Il passaggio da glargine U-100 a degludec comporta una riduzione del fabbiso-gno sia di insulina basale che di insulina prandiale (Lane et al., 2017); la scarsa tempestività nell’a-deguamento delle dosi di insulina può determinare un iniziale aumento del rischio di ipoglicemia, soprattutto nelle ore diurne (Ratner et al., 2013).

La sicurezza in età pediatrica è stata dimostrata sia per glargine (Danne et al., 2013) che per detemir (Thalange et al., 2011) e degludec (Thalange et al., 2015). Per glargine e detemir esistono anche evidenze di sicurezza in gravidanza (Lv et al., 2015).

Glargine U-100 è disponibile anche sotto forma di biosimilare, con un profilo clinico sovrapponi-bile a quello della preparazione originale (Blevinset al., 2015).

Terapia insulinica con microinfusore

Efficacia sul controllo glicemico e sviluppo/progressione delle complicanze croniche

Nei pazienti con diabete tipo 1 che, per vari motivi, presentino scarso controllo glicemico e/o ipoglicemie ricorrenti, l’uso della terapia con microinfusore (CSII) può rappresentare una valida al-ternativa (Bode et al. 1996, Eichneret al., 1988). L’efficacia della terapia con CSII rispetto alla terapia multiniettiva (MDI) è stata confrontata in numerosi studi, i quali, peraltro, presentano una notevole eterogeneità in termini di numerosità, caratteristiche dei pazienti ed endpoint valutati.

Certamente la terapia con CSII è vantaggiosa rispetto alla MDI basata su NPH, come dimostra-to, fra gli altri, da uno studio multicentrico in aperto che ha evidenziato una riduzione dell’HbA1c, della variabilità glicemica e degli episodi ipoglicemici associata alla percezione dei pazienti di un miglioramento nella qualità di vita (Hoogmaet al., 2006).

In parte discordanti appaiono, tuttavia, i risultati dei trial più recenti, in cui il confronto era tra CSII e MDI condotta con analoghi basali invece che con NPH. In un trial italiano della durata peraltro di soli 6 mesi in pazienti con diabete tipo 1 adulti, in precedenza trattati con terapia multiiniettiva con NPH, ha evidenziato la non inferiorità di uno schema basal-bolus con glargine e lispro rispetto alla CSII con lispro, sia in termini di riduzione di HbA1c che di numero di ipoglicemie (Bolli et al., 2009). Al contrario, sia in bambini sia in giovani adulti il trattamento con CSII con analogo aspart ha consentito un miglioramento del controllo glicemico rispetto alla terapia multiniettiva con aspart più glargine (Hirschet al.,2005;Doyleet al., 2004).

Una revisione della letteratura della Cochrane che ha confrontato la terapia con CSII rispetto alla terapia con MDI in pazienti con diabete tipo 1, basata sull’analisi di 23 studi clinici randomizzati ha

evidenziato una riduzione statisticamente significativa dell’HbA1c (pari a circa 0,3%) e delle cemie severe nei pazienti in CSII, mentre non erano dimostrabili differenze significative nelle ipogli-cemie non severe e nella variazione ponderale (Misso et al., 2010). Nella metanalisi di Yeh (Yeh et al., 2012), che ha selezionato 33 studi, la CSII mostra effetti significativi sull’HbA1c solo negli adulti con diabete tipo 1, mentre non evidenzia differenze sulla frequenza di ipoglicemia severa. Tuttavia, nella valutazione dell’impatto della terapia con CSII sembra appropriato tenere in considerazione altri aspetti, oltre il controllo glicometabolico medio. In effetti, la recente revisione della letteratura di Cummins che ha valutato sia studi di intervento sia studi osservazionali, ha sottolineato che il mi-glioramento del compenso metabolico nei pazienti in CSII correla con i livelli di HbA1c di partenza, e che nei pazienti con CSII si riducono le oscillazioni glicemiche e la dose giornaliera di insulina, e migliora la qualità di vita (Cummins et al., 2010). Un’analisi HTA eseguita nello stato dell’Ontario (Canada) ha mostrato una riduzione statisticamente significativa della variabilità glicemica per i pazienti con diabete tipo 1 che utilizzano la CSII rispetto a quelli che utilizzano MDI (Health Qua-lity Ontario, 2009). È stato anche dimostrato, particolarmente in età pediatrica, un miglioramento della qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie (Misso et al., 2010). Anche la metanalisi dell’Agency for Healthcare Research and Quality (USA) (Golden et al., 2012) che ha incluso sia studi randomizzati e controllati sia studi osservazionali, ha concluso che, sia nei bambini che negli adulti con diabete tipo 1, la CSII è associata a un miglioramento della qualità di vita.

Tuttavia, ancor oggi restano alcune incertezze sui benefici della CSII, come confermato dallo studio di confronto di tre ampi registri pediatrici in cui si evince come i risultati sul controllo glicometabolico e complicanze siano fortemente influenzati dalla frequenza di uso della terapia CSII, diversa a seconda delle popolazioni di soggetti con diabete tipo 1 presi in esame (Sherret al., 2016). Peraltro l’impiego della terapia CSII è attualmente in forte incremento sul territorio italiano in ambito pediatrico, in quanto la qua-lità di vita è indubbiamente migliorata rispetto alla MDI (Bonfanti et al., 2016,).

Per quanto riguarda il ruolo della CSII nello sviluppo/progressione delle complicanze croniche del diabete, uno studio osservazionale (Steinecket al.,2015), che fa riferimento ai pazienti diabetici tipo 1 censiti nel Registro Nazionale Svedese, ha confrontato i pazienti in CSII (circa 2500) con i pazienti in MDI (circa 16.000) in una valutazione longitudinale, tra il 2005 e il 2012 dimostrando che la terapia insulinica mediante microinfusore si associava a minore mortalità coronarica, cardiovasco-lare e per tutte le cause, in confronto alla terapia multiniettiva, probabilmente grazie alla riduzione dell’ipoglicemia e della variabilità glicemica anche se non può essere esclusa una miglior educazio-ne del paziente in CSII rispetto a quello in MDI o una sua migliore gestioeducazio-ne della terapia.

Recentemente sono stati pubblicati anche due studi caso-controllo sulla maggiore efficacia della CSII, rispetto a MDI, nel ridurre la progressione della microalbuminuria (Lepore et al. 2009; Roselun-det al., 2015). Lo studio di Lepore et al., in 220 pazienti diabetici di tipo 1, ha dimostrato che la CSII era in grado di ridurre la progressione dell’albuminuria sia nei pazienti inizialmente normoalbuminu-rici che in quelli con microalbuminuria persistente. Gli effetti benefici del trattamento con CSII non erano correlati con un miglioramento di HbA1C (Lepore et al., 2009). Analogamente nello studio caso-controllo retrospettivo di Roselund et al (Roselundet al., 2015), che confrontava 193 pazienti con diabete tipo 1 trattati con CSII con 386 in terapia MDI, è stato riportato che il trattamento con CSII per oltre 4 anni riduceva in modo indipendente l’albuminuria e l’HbA1C rispetto al trattamento con MDI. La maggiore riduzione nell’escrezione urinaria di albumina nei pazienti trattati con CSII era solo parzialmente spiegabile con la riduzione della HbA1C e, almeno in parte spiegabile, secondo gli autori, dalla riduzione della variabilità glicemica secondaria all’uso di CSII .

L’uso della CSII sembra influenzare positivamente anche lo sviluppo/progressione della retino-patia e neuroretino-patia. In uno studio longitudinale condotto su 989 adolescenti con diabete mellito 1, l’uso della CSII per almeno 12 mesi era associato ad una riduzione sia del rischio di retinopatia che di neuropatia periferica con una riduzione anche delle altre complicanze per i soggetti che avevano usato la CSII per più di 12 mesi. Gli autori hanno ipotizzato che la ridotta variabilità glicemica nei pazienti trattati con CSII avesse contribuito alla riduzione delle complicanze anche se non c’erano significativi miglioramenti nella HbA1C (Zabeenet al., 2016).

Indicazioni all’uso del microinfusore (Continuous Subcutaneous Insulin Infusion, CSII)

Le indicazioni per l’impiego della terapia insulinica intensiva mediante CSII sono disponibili in numerose linee-guida e documenti di consenso (NICE 2008;Lassmann-Vagueet al.,

2009;Grunber-geret al., 2014;Peterset al., 2016; Phillip et al., 2007; SIEDP 2015; Pinelli et al., 2008). Le indicazioni che risultano prioritarie, perché raccolgono il più robusto supporto della letteratura sono la presen-za di livelli di emoglobina glicata persistentemente superiori al target desiderabile per il paziente, nonostante MDI intensiva e ottimizzata e la presenza di ipoglicemia ricorrente, ipoglicemia grave o notturna. Nei pazienti DMT1 in età pediatrica ne viene caldamente raccomandato l’uso nel diabete neonatale, nell’età < 2 anni e comunque sempre per la loro elevata insulino sensibilità e per ridurre l’impatto sulla qualità di vita della MDI. Tutte le linee guida sottolineano come il successo di questa tecnologia dipenda dall’educazione che il paziente ha ricevuto, dalla sua motivazione ad usarla e dalla sua capacità di gestirla.

Costo-beneficio della CSII

Per quanto riguarda la valutazione economica, una revisione della letteratura di Roze et al. del 2015 (Rozeet al., 2015), in cui sono stati analizzati 11 studi riguardanti il rapporto “costo/efficacia”

della CSII nei confronti di MDI ha evidenziato che, nei pazienti con diabete di tipo 1 che presenta-no scarso controllo metabolico e/o ipoglicemie frequenti e/o problematiche, la CSII è considerata

“cost-effective” nei confronti di MDI, grazie alla riduzione della emoglobina glicata e alla più bassa frequenza di ipoglicemie.

Uno studio recente sulla popolazione di soggetti con diabete tipo 1 in scarso controllo metabo-lico in Germania ha calcolato che, se il 20% di questi pazienti venissero avviati alla CSII, si avrebbe una riduzione nell’arco di 4 anni di eventi acuti legati al diabete (soprattutto di ipoglicemie gravi richiedenti ospedalizzazioni) tale da controbilanciare in misura significativa l’aumentata spesa legata alla terapia con microinfusore rispetto alla multi-iniettiva (Zollneret al., 2016).

Microinfusore integrato a monitoraggio in continuo della glicemia (Sensor Augmented Insulin Pump Therapy, SAP)

Senza sospensione automatica dell’insulina

Il microinfusore può essere associato o integrato con un dispositivo per il monitoraggio glice-mico in continuo (sensor augmented insulin pump, SAP). In persone con diabete tipo 1 sia adulte che in età pediatrica, la SAP riduce i livelli di HbA1c molto più della terapia multiiniettiva (-0,68%) (Yeh et al., 2012) o la tradizionale CSII (-0,26%) (Szypowskaet al., 2012) senza aumentare il rischio di ipoglicemia. La riduzione dell’HbA1c è tanto maggiore quanto più elevati sono i valori di partenza e per quanto più tempo viene usato il sensore (Pickupet al., 2011;Norgaardet al., 2013). Rispetto alla multiiniettiva il microinfusore integrato al sensore si associa anche a una riduzione del tempo passa-to in iperglicemia e a un aumenpassa-to della soddisfazione per il trattamenpassa-to. Non varia invece il tempo trascorso in ipoglicemia non severa né la frequenza di ipoglicemia severa (Steinecket al., 2017).

Con sospensione automatica dell’insulina

Esistono 2 diverse funzioni di sospensione dell’infusione insulinica: la funzione LGS (low gluco-se suspend) e la funzione PLGS (predictive low glucogluco-ses uspend). La prima funzione sospende la somministrazione basale di insulina in risposta ad un valore basso di glicemia rilevato dal sensore.

La somministrazione di insulina riparte automaticamente dopo 120 minuti indipendentemente dal valore glicemico o può essere riattivata prima manualmente dal paziente.

La funzione PLGS sospende automaticamente l’infusione di insulina in previsione di un evento ipoglicemico. Come per la funzione LGS, se non vi è intervento da parte del paziente, la sommi-nistrazione di insulina ripartirà automaticamente dopo un massimo di 2 ore; peraltro, se il livello d glucosio aumenterà oltre un livello soglia predefinito, la somministrazione di insulina potrà ripartire automaticamente già dopo 30 minuti.

Data la recente immissione in commercio di tali sistemi, non ci sono ancora studi clinici validi che confrontino queste due funzioni. Peraltro uno studio di simulazione ha evidenziato che la funzione PLGS riduce l’ipoglicemia più della funzione LGS (Danne et al., 2014)

Gli studi finora pubblicati concordano nell’affermare che la SAP con LGS riduce la frequenza dell’ipoglicemia severa rispetto a CSII + SMBG. Nei pazienti con ipoglicemia asintomatica riduce non solo la frequenza delle ipoglicemie severe e moderate ma anche il tempo trascorso in

ipoglice-mia (Ly et al., 2013). Il trattamento con LGS è sicuro, non causa “rebound iperglicemico grave” ed è gradito ai pazienti (Choudaryet al., 2011)

Trials randomizzati controllati che valutavano l’efficacia e la sicurezza di un prototipo di sistema PLGS, hanno dimostrato che la funzione PLGS, rispetto a SAP senza funzione di sospensione auto-matica dell’insulina, riduceva la durata e la frequenza di ipoglicemia notturna sia negli adulti che nei

Trials randomizzati controllati che valutavano l’efficacia e la sicurezza di un prototipo di sistema PLGS, hanno dimostrato che la funzione PLGS, rispetto a SAP senza funzione di sospensione auto-matica dell’insulina, riduceva la durata e la frequenza di ipoglicemia notturna sia negli adulti che nei

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