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Diversa è la situazione dei Medici, famiglia in più versi rivale degli Strozzi20, anche se è forse più difficile e complesso da descrivere, e non certo in poche righe. Parlare di Cosimo il Vecchio (1389–

1464), del capo stirpe della famiglia che governò per ben tre secoli Firenze e che riuscì di trasformare sia la struttura politica sia la situazione culturale, significa menzionare la pubblicazione di Dale V.

Kent   ‘Il committente e le arti : Cosimo   de’   Medici   e  il Rinascimento fiorentino’,   uscita nel 2000 nell’edizione  inglese  e  cinque  anni  dopo  nella  traduzione  italiana21.  Sebbene  l’autore  si  basi  su  uno   studio approfondito delle fonti e su una lunga scia di studi, tra questi anche controverse interpreta-zioni, lui stesso deve ammettere che il più delle volte – come nel caso del palazzo Medici di via Larga a Firenze – le conclusioni sono assai difficili: “Fino   a   quando   non  saranno scoperti nuovi documenti,   l’identità   dell’architetto   e   la   natura   di   progetti   originali   per   il   palazzo   sono   destinati a rimanere   una   questione   aperta”22. In   particolare   sembra   che   l’autore   differenzi molto tra la qualità ovvero il contenuto dei documenti  trasmessoci:  “La  dimensione  pubblica  dell’esperienza  di  Cosimo  è   ben documentata, ma ci sono poche attestazioni esplicite di ciò che egli pensava, sperava, sogna-va”23;;   in   particolare   secondo   lui   “la   maggior   parte   […]   [del-]le informazioni importanti, come gli scrittori  osservavano  di  continuo,  venivano  preferibilmente  trasmesse  a  viva  voce”24, per cui questi documenti difficilmente potranno essere ancora scoperti. Altri documenti invece, come le afferma-zioni  di  Giorgio  Vasari  nelle  sue  ‘Vite’, si sono secondo  lui  “spesso  rilevate  inattendibili  alla  luce  di   ricerche  più  approfondite  su  singole  opere  d’arte”25. Kent spiega questo fatto con le seguenti parole:

“Quando  [Vasari] menziona imprese di artisti attivi al tempo di Cosimo, Vasari scriveva molto dopo gli  eventi  e  con  la  manifesta  intenzione  di  costruire  un’immagine  e  di  creare  precedenti  per  promuo-vere se stesso come artista di corte […],  sicché  c’è  un  buon  motivo  per  non  accettare  senza  riserve  le   sue   affermazioni”26. Poi entrando più in merito alla questione   dell’ideatore effettivo delle opere architettoniche,  lo  studioso  afferma:  “Benché lo stretto rapporto di Michelozzo con la famiglia Medi-ci  non  dimostri  che  egli  fosse  l’autore  di qualsiasi edifiMedi-cio, accresce la verosimiglianza, in assenza di prove che colleghino quelle committenze Medici a un altro architetto, che egli [Michelozzo] abbia collaborato  alla  produzione  di  almeno  una  parte  dell’opera  edilizia  di  Cosimo. Tale collaborazione non risulta meno probabile, per il fatto che Cosimo non nomina Michelozzo come suo architetto,

20 Cfr. D.V. KENT, Il committente e le arti : Cosimo  de’  Medici  e  il Rinascimento fiorentino, 2005, p. 23.

21 Traduzione di Marina Peri, pubblicata nel 2005;  titolo  dell’edizione  inglese:  Cosimo  de’  Medici  and  the  Floren-tine Renaissance, 2000.

22 Cfr. D.V. KENT, Il committente e le arti : Cosimo  de’  Medici  e  il Rinascimento fiorentino, 2005, p. 295.

23 Cfr. IVI, p. 33.

24 Cfr. IVI, p. 21.

25 Cfr. IVI, p. 231.

26 Cfr. IBIDEM.

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poiché  il  mecenate  si  considerava  l’autore  dei  propri  edifici  e  altri,  come  il  suo  biografo  Vespasiano   [da Bisticci],   glieli   attribuivano   a   loro   volta”27, come dire, non fidiamoci troppo di alcune affermazioni del Vasari, anche se effettivamente qualche volta sono le uniche che abbiamo in merito alle attribuzioni artistiche e architettoniche, ma fidiamoci invece delle affermazioni di Vespasiano da Bisticci, che sapeva “temperare la sua ammirazione con qualche critica”, per cui  “egli non può essere accantonato come biografo puramente celebrativo”28. Non avendo perciò altre fonti, Kent è propenso di attribuire la costruzione del palazzo Medici ad una collaborazione tra Michelozzo e lo stesso Cosimo, sulla base delle parole di Vespasiano da Bisticci, che nelle  ‘Vite di uomini illustri del secolo XV’  lo presenta come uomo coltissimo, grande promotore delle arti e capace di intervenire sia nelle faccende artistiche che architettoniche:

“Aveva una memoria eterna […].  Era tanto universale in ogni cosa, che con tutti quegli che parlava, aveva   materia:   s’egli   era   con   uno   litterato,   ragionava   della   sua   facultà;;   se   di   teologia   con   teologi   parlava,  egli  n’aveva  grandissima  perizia,  per  essersene  sempre  dilettato  e  il  simile  praticato  con  chi se  ne  dilettava,  e  letto  assai  libri  della  Scrittura  sancta.  S’era  di  filosofia,  quello  medesimo   […].  Se fussino  istati  musici,  egli  n’aveva  notizia,  e  alquanto  se  ne  dilettava.  Se  practicava  con  pittori  o  scul-tori,  egli  s’intendeva  assai  […].  Di scultura,  egli  n’era  intendentissimo; e molto favoriva gli scultori e tutti gli artefici degni […].   Venendo   all’architettura egli ne fu peritissimo, come si vede per più edificii fatti fare da lui; chè non si murava o faceva nulla sanza parere suo; e alcuni che avevano a edificare, andavano per parere a lui”29.

È interessante notare che Vespasiano da Bisticci considera Cosimo   “peritissimo” in architettura,

“intendentissimo”   in   scultura  volendo certamente alludere alle sue notevoli conoscenze in queste materie (il che riprende concetti espressi a suo tempo da illustri personaggi, sia filosofi antichi sia umanisti rinascimentali30). Da questa testimonianza risulta in particolare che le conoscenze architet-toniche servivano a Cosimo per poter assumere le decisioni migliori in tutte le fasi  di  un’impresa,  dal   progetto all’iter costruttivo. Non si fa alcun cenno ad un suo contributo personale all’ideazione  e  alla progettazione delle opere di sua committenza. Di simile contenuto sono anche le parole di Filarete nel  ‘Trattato di architettura’,  scritto negli anni 1461–1464:

“…intendo  di  quello  magnifico  Cosimo  de’  Medici  maraviglie  del  diletto  che  dice  che  ha  dell’edifi-care”31.

Resta da vedere se Cosimo possa esser definito un vero progettista-“dilettante” o non sia stato piut-tosto – seguendo la definizione di Filippo Baldinucci32 – un “intendente” (intenditore): Leopold D.

Ettlinger ha ipotizzato che sia stato Cosimo a ideare le ville di Cafaggiolo e di Careggi, lasciando a

27 Cfr. IBIDEM.

28 Cfr. IVI, p. 33.

29 Vespasiano da BISTICCI, Vite di uomini illustri del secolo XV, ediz. cons. a cura di  P.  d’Ancona/E.  Aeschlimann, 1951, parte 4 (»Uomini di stato e letterati«), p. 419 [§ XIX].

30 Sull’educazione  esiste  una  vasta  biografia,  della quale vorrei solamente citare i testi di E. GARIN, L' educazione in Europa, 1964; ediz. cons. IDEM, Geschichte und Dokumente der abendländischen Pädagogik, voll. 1–3, 1964–

1966. Per una più approfondita analisi si dovrebbe partire da Alessandro Magno (cfr. H. BOHMHAMMEL, Valerius’  

Übertragung der Alexandergeschichte, 2008), per arrivare agli scritti di L.B. Alberti, in particolare al  suo  ‘Momus’;

questa ricerca in parte è stata da me fatta, ma vorrei rimandare – anche   per   l’estensione   del testo – ad altra occasione.

31 A. Averlino detto Il FILARETE, Trattato di architettura (libro 25), edizione a cura di A.M. Finoli/L. Grassi, vol. 2, 1972, p. 683.

32 Vedi capitolo precedente sulla terminologia (cap. 1), note 37 e 39.

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Michelozzo la stesura del progetto e la costruzione dell’edificio33. Questa ipotesi non viene confer-mata da nessun documento, per cui è ipotetica (ma in verità non esiste neanche una fonte che la smentisca).

Ancora dal Filarete, il quale si presenta come conoscitore delle vicende di casa Medici34, apprendia-mo che Cosiapprendia-mo fu coinvolto – assieme al figlio, Giovanni de’  Medici (1421–1463), morto precoce-mente – nella costruzione di un monastero di suore:

“…mi  disse  el  prefato  venerabile  padre  don  Timoteo,  che  Cosimo  insieme  con  lui  l’hanno  [il mona-stero di religiose] disegnato e ordinato, principiato in modo che è una degna cosa ed eccellente luogo verrà. Sì che, se vivuto fusse, non è dubbio che lui arebbe seguito le vestige del padre...”35.

Resta il dubbio se Cosimo e il figlio abbiano effettivamente eseguito un progetto  dell’edificio,  oppu-re si siano limita oppu-re a p oppu-redispor oppu-re e ordina oppu-re la sua  oppu-realizzazione36.

Di diverso contenuto è la testimonianza di Vespasiano da Bisticci in merito alla Badia Fiesolana37:

“Per  l’autorità  sua  Cosimo  de’  Medici  fu  cagione  che  edificasse la badia di Fiesole, e l’ordine della architettura e della composizione fu tutta sua”38.

A Cosimo spetta perciò il ruolo di grande committente (“Per   l’autorità   sua   Cosimo   de’   Medici   fu   cagione che edificasse la Badia di Fiesole”) e anche quello di ideatore del progetto (“l'ordine della architettura e della composizione fu tutta sua”), anche se resta il dubbio, se sia stato lui a redigere il disegno della Badia. Per la sua vicinanza alla famiglia Medici Filarete è certamente una fonte più attendibile. Egli afferma che Cosimo si sarebbe limitato a finanziare la costruzione, mentre l’abate   Timoteo Maffei avrebbe avuto piena libertà decisionale sull’opera da realizzare:

“…don Timoteo […] mi disse avere avuto licenza da lui [cioè Cosimo]  di  spendere  […]  nonché in riparare ma di nuovo fare, quello che a lui pareva”39.

33 L.D. ETTLINGER, The emergence of the Italian architect during the fifteenth century, in: S. KOSTOF (a cura di), The architect, 1977,   pp.   96   sgg.,   in   particolare   p.   116:   “He [Michelozzo] could simply have been the expert who turnes his patron's ideas into designs which could be excuted by builders. In other words: was Cosimo perhaps his own architect? Vespasiano seems to hint as much...”.

34 Filarete dedicò il suo trattato – nella versione definitiva – a  Piero  de’  Medici,  figlio  di  Cosimo;  per  cui  ben  avrà   saputo   delle   conoscenze   architettoniche   dei   singoli   personaggi  di   famiglia,   specie   di   Cosimo,   che   all’epoca  era   ancora vivo.

35 A. Averlino detto Il FILARETE, Trattato di architettura (libro 25), edizione a cura di A.M. Finoli/L. Grassi, vol. 2, 1972, p. 692. A. Lillie afferma però che Giovanni avrebbe avuto poco interesse per l’architettura; cfr. A. LILLIE, Giovanni di Cosimo and the Villa Medici at Fiesole, in: Piero  de’  Medici  »Il  Gottoso«, 1993, p. 190.

36 Su   questo   specifico   significato   della   parola   “disegno”   o   “disegnare”   si   sono   espressi   tanti   studiosi:   cfr. H.

GÜNTHER, Studien zum venezianischen Aufenthalt des Sebastiano Serlio,   ‘Münchner   Jahrbuch   der   bildenden   Kunst‘  32, 1981, nota 147 a p. 82; M. BURIONI, Der Fürst als Architekt. Eine Relektüre, in: Die Kunst der Mächtigen und die Macht der Kunst. Untersuchungen zu Mäzenatentum und Kuturpatronage, 2007, pp. 109–110. Di fonda-mentale importanza sono le indicazioni – probabilmente alla base dei saggi appena menzionati – di S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, vol. 4, 1966 [212002], p. 654 (n.o 11–14).

37 Cfr. A. BELLUZZI, La Badia Fiesolana,  ‘Filippo Brunelleschi’,  2,  1980,  pp.  495–502; IDEM, La Badia Fiesolana: tipo-logia edilizia e linguaggio architettonico, in Ricerche brunelleschiane, interventi del Convegno internazionale, 1, 1977, pp. 24–36, 405, 317–322.

38 Vespasiano da BISTICCI, Vite di uomini illustri del secolo XV, ediz. cons. a cura di  P.  d’Ancona/E.  Aeschlimann, 1951, p. 152. Sul tema di recente fu organizzata una tavola rotonda a Villa I Tatti, di cui venni a sapere solamente a conclusione dei lavori.

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Non sarebbe certo insolito che un abate fosse l’architetto del suo convento e della sua chiesa40. Filarete accenna ad un’altra probabile collaborazione a proposito di una peschiera, concepita da Cosi-mo insieme al medesiCosi-mo abate, a quanto pare fino ad ogni dettaglio:

“…disse ancora avere ordinato Cosimo insieme con lui [cioè Timoteo Maffei da Verona] una pe-schiera di cento venti braccia per  uno  verso  e  sessanta  per  l’altro,  nel mezzo della quale uno ponte in modo ordinato con una cateratta, o vuoi dire incastro”41.

Meglio documentate e più consistenti sono le conoscenze di architettura di Piero de’  Medici (1416–

1469), come testimonia sempre il Filarete:

“si diletta di musica, di astrologia, di geumetria [geometria], e massime, come è detto, nello edificare n’ha  piacere  d’intendere,  e  fattone  disegnare  [...], e in questi disegni [di edifici di Roma] molte volte si diletta in essi”42.

“E  ancora  uno  suo  figliuolo,  il  quale  per  nome  Piero di chiama, il quale molto intendo se ne diletta, e intendentissimo  intendo  che  n’è”43.

Da queste parole appare evidente che Piero, conoscitore della geometria su cui si fonda il disegno architettonico, appassionato di architettura, possedeva conoscenze adeguate per saper leggere i disegni architettonici, e traeva  grande  “diletto”  dallo studio di tali disegni, specie se rappresentavano edifici  dell’antica Roma. È  l’unico  di casa  Medici  che  il  Filarete  denomina  “intendentissimo” (come Ludovico Gonzaga). Come riferiscono Georg Weise e Riccardo Pacciani, lo  studio  dell’Antico  e  in   particolare degli edifici antichi sin dai tempi di Giovanni Boccaccio era ritenuto un approccio per arrivare alla magnificenza ovvero fare opere magnifiche come gli imperatori romani44.

39 A. Averlino detto Il FILARETE, Trattato di architettura (libro 25), edizione a cura di A.M. Finoli/ L. Grassi, vol. 2, 1972, p. 684; cfr. anche ivi, p. 694.

40 Mi riferisco a Francesco Giorgio Zorzi (1453–1540), che partecipò al progetto o addirittura progettò di propria mano la chiesa di San Francesco a Vigna,  e  il  frate  Gabriele  della  Volta;  quest’ultimo  fece  il  progetto  del chiostro e della sacristia di Santo Stefano, entrambe a Venezia; cfr. N. HUSE/W. WOLTERS, Venezia – L'Arte del Rinascimen-to : Architettura, Scultura, Pittura 1460 – 1590, 1990; ediz. cons. N. HUSE/W. WOLTERS, Venedig – Die Kunst der Renaissance, 1986, p. 67; per Francesco Giorgio Zorzi cfr. S. ONDA, La chiesa di San Francesco della Vigna e il convento dei Frati Minori, 2008, pp. 60 sgg., 70 sgg., 89 sgg.

41 A. Averlino detto Il FILARETE, Trattato di architettura (libro 25), edizione a cura di A.M. Finoli/ L. Grassi, vol. 2, 1972, p.  695:  “Oltr’a  questo  dignissimi  ornamenti  [la creazione di una biblioteca ed una sacristia] disse ancora avere ordinato Cosimo insieme con lui [Timoteo Maffei da Verona] una peschiera di cento venti bracci per uno verso  e  sessanta  per  l’altro, nel mezzo della quale uno ponte in modo ordinato con una cateratta, o vuoi dire incastro che, quando bisogno di pesce averanno, solo alzare la detta cateratta [...];  e  sta  ordinato  in  modo  che  ’l   pesce in quello luogo resta, e così con abilità e prestezza avere lo possono...”.

42 IVI, vol. 2, p. 688.

43 IVI, vol. 2, p. 683.

44 Boccaccio  aveva  indicato  nel  ‘Filocolo’  che  lo  studio  delle  “bellezze  di  Roma”  comporta  all’elogio  della  “ma-gnanimità  di  coloro  che  fatte  l’avevano”; cfr. R. PACCIANI, Brunelleschi e  la  “magnificienza”, in Ricerche brunelles-chiane, interventi del Convegno internazionale, 1977, pp. 203–218, in particolare p. 204 (con riferimento al testo di G. Weise del 1961).

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Nessuna fonte accenna al contributo progettuale di Piero de’  Medici. Alcune frasi del Filarete lascia-no piuttosto intendere che egli si affidava anche nella fase progettuale ad architetti ed esperti del mestiere:

“…lasciamo  stare  al  presente  de’  degni  palazzi  e  casamenti per lui fatti”, e  anche:  “…ha fatto fabbri-care degnissimi luoghi”45.

Come nel caso di Cosimo, Filarete ed anche Vespasiano da Bisticci evidenziano la magnificenza di Piero in quanto committente:

“Non pensate però per questo, lui delle cose grandi ancora, quando tempo e luogo è, non pigli cura, si  per  lo  bene  della  repubblica,  si  ancora  del  loro  stato  […].  E  ancora  la  sufficienza  e  ‘l  sapere  del   magnifico  suo  padre  sopra  di  quello  s’è  riposato,  del  quale  quanto  sia  valuta  e  vaglia,  benché antico sia, lasceremo al presente”46.

Secondo Amanda Lillie in gioventù Piero  de’  Medici  fu incaricato dal padre di sovrintendere i lavori in corso di importanti fabbriche come il palazzo di famiglia in via Larga, la chiesa di San Lorenzo e la Badia Fiesolana:

“Piero was engaged in the supervison of projects begun by his father: in the Medici palace itself, at S. Lorenzo and at the Badia Fiesolana, to name just three sites”47.

Il controllo di queste opere certamente presupponeva concrete capacità di architettura. Poiché questa opinione di Amanda Lillie è priva di qualsiasi riferimento a fonti documentarie e letterarie, la questione rimane sospesa. Se venisse comprovata, Piero  de’  Medici  sarebbe  stato il primo “dilettan-te” di architettura del suo casato, quindi in anticipo rispetto al figlio Lorenzo (vedi capitolo 4.2).

Ciò non toglie che sia Cosimo sia Piero, in quanto committenti di determinate opere, alcune molto impegnative e costose, dovevano essere in grado di valutare l’impiego dei finanziamenti rispetto a determinati interventi e quindi, implicitamente, le scelte progettuali. In altri termini – come scrive l’Alberti  in  ‘De pictura’  (III,61)48, – ogni opera era oggetto di discussione, ma perché questo fosse possibile il committente doveva possedere conoscenze architettoniche più o meno approfondite (probabilmente  l’Alberti  aveva,  tra  l’altro,  si riferiva alle sedute e alle discussioni teoriche avvenute nella Fabbrica del Duomo di Milano e di cui ancora oggi abbiamo notizia degli argomenti ivi discus-si49).

45 A. Averlino detto IL FILARETE: Trattato di architettura (libro 25), edizione Finoli/L. Grassi (1972), vol. 2, p. 689.

46 IVI, vol. 2, pp. 688–689.

47 A. LILLIE, Giovanni di Cosimo and the Villa Medici at Fiesole, in Piero  de’  Medici  »Il  Gottoso«, 1993, pp. 189–

205, in particolare p. 190; su Piero cfr. anche L. GNOCCHI, Le preferenze  artistiche  di  Piero  do  Cosimo  de’  Medici,

‘Artibus  et  Historiae’  18,  1988,  pp.  41–78; cfr. anche C. ELAM, Art and diplomacy in Renaissance Florence,  ‘RSA Journal’  136,  1988,  pp.  813–826.

48 L.B. ALBERTI, De pictura (Libro terzo, capitolo 61):   “…faremo nostri concetti e modelli di tutta la storia e di ciascuna sua parte prima, e chiameremo tutti gli amici a consigliarci sopra a ciò” (vedasi capitolo 1, nota 9).

49 Cfr. J. ACKERMAN, »Ars sine scientia nihil est«, ‘Art Bulletin’ 31, 1949, fasc. 2, pp. 84–111; R. WITTKOWER, Gothic versus Classic, 1974, pp. 22 sgg. Di  simili  discussioni  purtroppo  non  si  hanno  notizia  nelle  sedute  dell’Opera  del   Duomo di Firenze; cfr. M. HAINES, Myth   and   management   in   the   construction   of   Brunelleschi’s   cupola,   ‘I Tatti studies’  14/15,  2011/12,  pp.  47–101.

- capitolo 4 / parte 2 -