• Keine Ergebnisse gefunden

Toscana bilingue (1260 ca.–1430 ca.)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Aktie "Toscana bilingue (1260 ca.–1430 ca.)"

Copied!
557
0
0

Wird geladen.... (Jetzt Volltext ansehen)

Volltext

(1)
(2)
(3)

Storia sociale della traduzione medievale

Bilingualism in Medieval Tuscany

A cura di / Edited by Antonio Montefusco

Volume 3

(4)

Toscana bilingue (1260 ca. – 1430 ca.)

Per una storia sociale del tradurre medievale

A cura di

Sara Bischetti, Michele Lodone, Cristiano Lorenzi e Antonio Montefusco

Indici a cura di Michele Vescovo

(5)

(grant agreement No 637533).

The information and views set out in this publication are those of the author(s) and do not necessarily reflect the official opinion of the European Research Council Executive Agency (ERCEA). The European Research Council Executive Agency (ERCEA) or any person acting on its behalf are not responsible for the use which may be made of the information contained therein.

ISBN 978-3-11-070203-3 e-ISBN (PDF) 978-3-11-070223-1 e-ISBN (EPUB) 978-3-11-070235-4 ISSN 2627-9762

e-ISSN 2627-9770

DOI https://doi.org/10.1515/9783110702231

This work is licensed under the Creative Commons Attribution 4.0 International License. For details go to https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/.

Library of Congress Control Number: 2020945664

Bibliographic information published by the Deutsche Nationalbibliothek

The Deutsche Nationalbibliothek lists this publication in the Deutsche Nationalbibliografie;

detailed bibliographic data are available on the internet at http://dnb.dnb.de.

© 2021 Sara Bischetti, Michele Lodone, Cristiano Lorenzi, Antonio Montefusco, published by Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston

The book is published open access at www.degruyter.com.

Cover image: © Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Pal. 600, f. 1 Typesetting: Integra Software Services Pvt. Ltd.

Printing and binding: CPI books GmbH, Leck

www.degruyter.com

(6)

Premessa IX

Lista delle abbreviazioni, delle biblioteche e degli archivi XVII Antonio Montefusco

A mo’d’introduzione 1

Parte I: Le lingue in questione

Benoît Grévin

Studiare il“bilinguismo”toscano (fine Duecento-inizio Quattrocento) 27

Riccardo Viel

La lirica tra Provenza e Toscana 47 Fabio Zinelli

Francese d’Italia e francese di Toscana 59

Parte II: Per una storia sociale del volgarizzare

Enrico Artifoni

Ancora sullaparva litteraturatra latino e volgari 107 Giuliano Milani

Brunetto volgarizzatore 125 Lorenzo Tanzini

Volgarizzare i documenti, volgarizzare gli statuti nella Toscana tra Due e Trecento 151

Renzo Iacobucci

La figura del volgarizzatore 167

(7)

Jérôme Hayez

Les marchands toscans face au latin vers 1400 195 Sara Bischetti, Marco Cursi

Per una codicologia dei volgarizzamenti 221 Michele Lodone

I testi profetici tra latino e volgare 247 Lorenzo Mainini

Tracce di donne nel primo Trecento 265

Parte III: Canone e volgarizzamenti

Manuele Gragnolati, Elena Lombardi

Volgarizzazione lirica e piacere linguistico in Dante 281 Paola Nasti

To speak in tongues 297 Lorenzo Geri,

Una“nuova veste”per unafabellache commuove i dotti 333 Stefano Carrai

Boccaccio volgarizzatore 355

Parte IV: I Mendicanti tra latino e volgare

Anna Pegoretti

Per una definizione minima dei volgarizzamenti“francescani” 371 Maria Conte

Osservazioni sulla traduttologia domenicana 381 Xavier Biron-Ouellet

Volgarizzatori agostiniani nella Toscana del Trecento 405

(8)

Isabella Gagliardi

I Gesuati e i volgarizzamenti (seconda metà XIV–prima metà XV secolo) 415

Parte V: Conclusioni

Clémence Revest

Langue de la patrie et langue du pouvoir 437 Bibliografia generale 455

Indice dei manoscritti 513 Indice dei nomi 521

(9)
(10)

Premessa

Il volume raccoglie gli Atti del convegnoToscana bilingue (1260–1430). Per una storia sociale del tradurre medievale tenuto dall’8 al 10 novembre 2018 a Venezia, presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’Foscari, nell’ambito del progetto ERC StG 637533Biflow(Bilingualism in Florentine and Tuscan Works, 1260–1430).

Dopo una prima fase (2015–2018) dedicata aldictamencome sapere ege- monico– nonché veicolo di una importante riflessione sul linguaggio –e al complessocorpusdelle epistole dantesche,1in occasione del convegno vene- ziano abbiamo deciso di ampliare il quadro, articolando la nostra proposta di una storia sociale e culturale del tradurre in Toscana, tra i secoli XIII e XV, lungo quattro direttrici: le lingue in questione, i contesti e le funzioni sociali del volgarizzare, il rapporto tra canone letterario e volgarizzamenti, e il ruolo degli Ordini religiosi, e più precisamente mendicanti, nel promuovere o mo- dellare i rapporti tra latino e volgare.

La sezione di apertura è dedicata alle lingue coinvolte nei processi di tra- duzione: il latino, naturalmente, ma anche la lingua d’oce quella d’oïl. Il con- tributo di Benoît Grévin (Studiare il“bilinguismo”toscano(fine Duecento-inizio Quattrocento). Strumenti concettuali, paragoni europei) è programmatico e af- fronta la questione del bilinguismo latino/volgare da un punto di vista teor- ico: a partire dagli studi di linguistica e sociolinguistica sul fenomeno del

Annotazione:La pubblicazione di questo volume costituisce uno dei più significativi risultati della riflessione collettiva che il team del progetto Biflow-Toscana Bilingue ha condotto in questi anni in maniera coordinata, pur nel quadro di specializzazioni diverse. Per la realizza- zione del libro, è stato fondamentale, dunque, lapporto anche dei membri che non sono stati direttamente coinvolti nella redazione di capitoli: Laura Calvaresi, Agnese Macchiarelli, Vera Ribaudo. Uniamo anche ai ringraziamenti i partecipanti al convegno in qualità di discussants, che hanno animato uno scambio non comune. Ringraziamo, infine, Michele Vescovo per la cura editoriale e la compilazione degli indici, e Maria Conte per lausilio nella fase finale di confezione del volume.

Sara Bischetti, Michele Lodone, Cristiano Lorenzi, Antonio Montefusco,Università CaFoscari Venezia

1 Per un quadro delle iniziative e pubblicazioni realizzate nellambito del progetto ERCBiflow si veda <https://biflow.hypotheses.org>.

Open Access. © 2021 Sara Bischetti, et al., published by Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston.

This work is licensed under the Creative Commons Attribution 4.0 International License.

https://doi.org/10.1515/9783110702231-203

(11)

bilinguismo e dai concetti di diglossia, grammatizzazione, ieroglossia ecode- switching, la peculiare situazione toscana medievale è utilmente calata nel più ampio quadro europeo. Ne consegue una proposta di classificazione tri- partita delle lingue in gioco (lingua referenziale, lingua cortese, lingua ver- nacolare), che tiene conto del fattore sociolinguistico e che permette di valutare meglio e più a fondo le interazioni dinamiche tra le lingue.

Il saggio di Riccardo Viel(La lirica tra Provenza e Toscana: contatti di cul- ture e tradizioni manoscritte nel XIII e XIV secolo)si prefigge di indagare la cir- colazione in area toscana dei canzonieri provenzali, facendo il punto, specie dopo i recenti studi di Resconi e Grimaldi, sulle tre ondate di immissione di ma- teriale trobadorico in Toscana e sulla sua ricezione. Tali elementi portano alla fine del Duecento alla definizione di un canone dei trovatori che peraltro, come rileva Viel, è oltremodo originale tanto culturalmente quanto politicamente: il ceto mercantile riveste infatti un ruolo fondamentale per una nuova declina- zione dell’ideologia trobadorica e per un certo tipo di aggregazione dei testi, con la decisiva conseguenza che in Toscana, a differenza di quanto accade nelle corti settentrionali, non si ha una produzione in provenzale.

Il versante dei testi francesi circolanti nell’area toscana è affrontato da Fabio Zinelli (Francese d’Italia e francese di Toscana. Tradizioni manoscritte e processi di vernacolarizzazione). Il saggio, che chiude questa sezione, delinea un quadro assai ricco: da un lato troviamo i testi d’Oltralpe che circolano e che sono copiati in Toscana, irradiandosi a partire dalla ben nota direttrice Genova-Pisa; dall’altro le numerose traduzioni in volgare dal francese (talvolta per il tramite rispetto alla Napoli angioina), così peculiari perché spesso interessate da fenomeni di ibrida- zione linguistica (travestimento di termini francesi, calchi sintattici ecc.), al punto che l’autore propone di definirle“traduzioni indessicali”.

La seconda parte del volume raccoglie i contributi dedicati alla storia sociale del tradurre, che analizzano l’atto del volgarizzare da punti di vista differenti ma complementari: alcuni secondo una prospettiva di impianto storico- culturale, altri attraverso un approccio più empirico, ovvero attraverso lo studio diretto delle fonti storiche (siano esse documentarie o librarie).

La sezione si apre con il saggio di Enrico ArtifoniAncora sullaparva litteratura tra latino e volgarisulla tematica dei laicimodice literati, vale a dire di coloro che possedevano una conoscenza modesta del latino, e che furono oggetto di impor- tanti riflessioni da parte degli intellettuali del XIII secolo. Artifoni indaga la lenta affermazione delle culture intermedie dei laici nel Duecento, e i conseguenti ris- volti politici e culturali nella società dell’epoca, attraverso alcune opere chiave che permettono di osservare il diverso atteggiamento assunto dalla prima generazione di intellettuali bolognesi (come Boncompagno da Signa e Guido Faba), di

(12)

formazione essenzialmente retorica e dettatoria, rispetto alla seconda generazione, specificamente fiorentina e più interessata all’aspetto educativo e didattico del fe- nomeno, rappresentata in particolar modo da Bono Giamboni e Brunetto Latini, e dalla svolta innovativa apportata a partire dagli anni Sessanta rispettivamente dal Fiore di rettoricae dallaRettorica.

LaRettorica, insieme alTresore alTesoretto, sono alla base dell’indagine storica e culturale della Firenze brunettiana proposta da Giuliano Milani (Brunetto volgare. Il maestro e i suoi allievi in alcuni studi recenti). Il saggio mette in luce la peculiarità della società fiorentina, priva di famiglie nobili di antica tradizione e strutturalmente dinamica, le sue caratteristiche economiche, basate essenzialmente su un sistema di tipo commerciale e bancario e, infine, il suo assetto politico, mostrando gli importanti mutamenti avvenuti a Firenze nel passaggio dalla fase guelfa e angioina a quella del priorato. Sullo sfondo di un simile contesto socio-culturale l’analisi dei tre testi di Brunetto permette di riflettere sulla finalità morale e politica che accomuna la sua produzione in vol- gare e di indagare il tipo di pubblico cui essa è destinata: un pubblico di lettori socialmente diversificato ma sostanzialmente coerente, e capace di adattarsi alle mutevoli contingenze economico-politiche dell’epoca.

Se l’atto del volgarizzare è stato finora esaminato da una prospettiva lettera- ria, il saggio di Lorenzo Tanzini (Volgarizzare i documenti, volgarizzare gli statuti nella Toscana tra Due e Trecento) osserva il fenomeno attraverso una diversa an- golazione, quella che riguarda l’impiego del volgare in ambito documentario per la trasmissione di testi normativi (in particolare gli statuti) tra il XIII e il XIV se- colo. Tanzini rileva in tal senso le motivazioni alla base dell’adozione della lin- gua vernacolare in specifici contesti politici e sociali della Toscana due- trecentesca (in primo luogo a Siena, poi a Pisa, e a Firenze), e l’importanza as- sunta nel processo di istituzionalizzazione del volgare quale lingua del potere dalla presenza di determinate categorie sociali: da un lato un ceto di laici mono- lingui (i mercanti), dall’altro una classe dirigente dinamica, in rapporti più o meno conflittuali con il notariato. Il tutto sullo sfondo di una comunità attiva nella vita politica delle città. Tali considerazioni offrono lo spunto per riflettere inoltre sul ceto notarile, protagonista indiscusso di lavori di volgarizzamento (sia letterari che documentari), ma che inizialmente sembra ostacolare l’uso del vol- gare nei testi di diritto, almeno fino alla sua graduale integrazione nell’ammini- strazione pubblica comunale, in particolar modo a Firenze.

Al profilo del volgarizzatore è dedicato il saggio di Renzo Iacobucci (La figura del volgarizzatore: scelte grafiche e aspetti dellamise en pagenei codici di Andrea Lancia) che analizza la produzione manoscritta di Andrea Lancia, traduttore di classici, di documenti giuridici e commentatore dellaCommedia, indagando gli aspetti grafico-librari che contraddistinguono il suo operato.

(13)

Nonostante l’esempio del Lancia sia cronologicamente vicino all’esperienza grafica e testuale di Giovanni Boccaccio, le sperimentazioni effettuate dal no- taio fiorentino sulla forma-libro non sembrano ancora mature e tanto consa- pevoli da poter apportare delle vere e proprie innovazioni, rilevando invece un sostrato grafico e culturale sostanzialmente legato alla tradizione tardo- duecentesca, mai del tutto abbandonata.

Su un singolo personaggio si concentra anche il contributo di Jérome Hayez (Les marchands toscans face au latin vers 1400. Indices de contacts lin- guistiques dans l’Archivio Datini), dedicato alla produzione documentaria del mercante pratese Francesco Datini (1335–1410), che si rivela interessante per il ricco carteggio conservato. Dagli scambi epistolari emerge una doppia compe- tenza linguistica del Datini, latina e toscana, che denota un livello di cono- scenza del latino minore rispetto a quello adoperato dai notai dell’epoca, ad esempio da Lapo Mazzei, alle cui competenze il mercante ricorreva spesso in situazioni testuali più complesse, come per la stesura di atti ufficiali.

Sugli aspetti codicologici e paleografici si soffermano anche Marco Cursi e Sara Bischetti (Per una codicologia dei volgarizzamenti: il caso di Albertano da Brescia), concentrandosi sull’ampia produzione manoscritta volgare dei trattati morali del noto giudice e causidico Albertano da Brescia. Dopo una prima pano- ramica sulle caratteristiche peculiari dei codici latori delle opere del bresciano, esaminati in prospettiva diacronica, per evidenziare l’evoluzione e i muta- menti verificatisi nel corso dei secoli XIII–XV negli elementi che riguardano la struttura, gli accorpamenti testuali, la destinazione e le modalità d’uso dei testimoni, il contributo mette a fuoco due casi esemplari (il Pluteo 89 sup. 64 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze e il Conv. soppr. D. I. 1631 della Biblioteca Nazionale di Firenze), datati rispettivamente alla fine del Duecento e nell’ultimo decennio del Quattrocento, attraverso i quali è possi- bile far emergere le figure di coloro che li trascrissero, possedettero e annota- rono, grazie soprattutto allo studio del peri-testo (postille, annotazioni, note di possesso, sottoscrizioni, note di lettura).

Un’impronta nuovamente storica caratterizza il saggio di Michele Lodone (I testi profetici tra latino e volgare) che prende in esame la produzione profetica circolante sia in volgare che in latino nella Toscana tardo medievale. Lodone si concentra in particolare su tre dossier e sui loro problemi peculiari: ilcorpus merliniano e il volgarizzamento ‘attivo’realizzato da Paolino Pieri nellaStoria di Merlino; la tradizione dissidente francescana dei fraticelli, sospesa tra ripie- gamento interno e proselitismo (non privo di rischi) presso i laici; e infine l’ampia fortuna autentica e apocrifa, in prosa e in versi, di santa Brigida di Svezia–presto trasformata, in Toscana, da visionaria riformatrice in generica autorità profetico-politica.

(14)

Chiude la seconda parte del volume il contributo di Lorenzo Mainini (Tracce di donne nel primo Trecento), incentrato su un diverso versante sociale, ovvero quello relativo alla produzione volgare femminile nel primo Trecento in Veneto e Toscana. Tale versante è caratterizzato da una presenza di testimo- nianze documentarie e librarie piuttosto labile e da una trasmissione testuale occasionale, ravvisabile per lo più in“tracce”di volgare (scritture avventizie, annotazioni marginali, o sopravvivenze legate all’oralità). La loro disamina ma- teriale, linguistica e contenutistica è basata essenzialmente su un dislivello di analisi, che si fonda sul confronto costantemente e inevitabilmente squilibrato con il canone della tradizione maschile.

La terza sezione del volume, seguendo una pista tutto sommato meno battuta nella recente bibliografia sui volgarizzamenti, è dedicata al rapporto peculiare che con la pratica del volgarizzamento e della traduzione in generale instaurarono le tre Corone. I primi due contributi affrontano il caso di Dante. Manuele Gragnolati ed Elena Lombardi (Volgarizzazione lirica e piacere linguistico in Dante) avanzano l’ipotesi che il ‘modo lirico’di Dante abbia influenzato anche la sua pratica di divulgazione del sapere in volgare, la quale presenta qualche analogia con la coeva prassi del volgarizzamento, pur con molte divergenze, dal momento che, at- traverso il ricorso agli espedienti lirici, si dimostra molto più libera rispetto alle fonti di partenza.

Paola Nasti (To speak in tongues: appunti sulla teoria e pratica della traduzione in Dante) affronta invece più da vicino il rapporto tra Dante e i volgarizzamenti a partire dal suo giudizio, come noto assai negativo, sulla traduzione dell’Etica aristotelica di Taddeo Alderotti: giudizio qui considerato da una nuova prospet- tiva, che tiene conto dell’idea di traduzione presupposta da Dante quando, nelle sue opere, si trova a volgarizzare brevi estratti di altri testi latini. Se ne ricava come l’Alighieri, pur proponendo più soluzioni alternative (talvolta anche di ris- crittura se non di vero e proprio tradimento della fonte), intenda sempre la tradu- zione come un’operazione che presenta forti ricadute culturali ed ideologiche del testo di origine e che al contempo necessita di adeguati strumenti retorici della lingua d’arrivo.

Per Petrarca il discorso è diametralmente opposto, dato che la traduzione da lui messa in campo muove dal volgare al latino (e non poteva essere altri- menti): si tratta del notevole caso di retrotraduzione della novella di Griselda, che chiude il Decameron. La versione latina, inserita nel XVII libro delle Seniles, ha anche la particolarità di essere inviata in dono all’autore del testo tradotto. Il lavoro di Lorenzo Geri (Una“nuova veste”per unafabellache com- muove i dotti. Petrarca, il volgare e la traduzione diDec.X 10) indaga le ragioni dell’operazione, soprattutto in relazione all’idea petrarchesca del pubblico del

(15)

latino e del volgare che sta a monte di tale esperimento. Alla base c’è una let- tura delDecameronche tende a valorizzare i passi stilisticamente elevati, tra i quali in particolare la novella di Griselda, che viene dunque riproposta in latino da Petrarca con lo scopo di evidenziarne la natura esemplare, mutando però i destinatari: non più le donne e un pubblico incolto, bensì gli uomini e i dotti.

Boccaccio, infine, se anche forse non fu autore in prima persona di una tra- duzione (ma sulla quarta Deca di Livio resta aperta la possibilità), certamente fu lettore e fruitore di volgarizzamenti soprattutto negli anni giovanili, prima cioè che l’amicizia con Petrarca gli facesse guardare con distacco a quel suo primo interesse. Stefano Carrai (Boccaccio volgarizzatore) mette limpidamente in luce il debito di citazioni più o meno letterali contratto dal Certaldese da un lato con il volgarizzamento di Filippo Ceffi delle Heroides ovidiane nella Fiammetta, e dall’altro con il volgarizzamento delDe consolatione Philosophiae di Alberto della Piagentina all’interno dellaComedia delle ninfe fiorentine(e in questo caso non è escluso anche un influsso di tipo formale nella scelta di Boccaccio di uniformare tutte le rime del suo prosimetro al capitolo ternario).

La quarta e ultima sezione del volume si concentra sul rapporto tra Ordini reli- giosi – in particolare Ordini mendicanti – e volgarizzamenti: un altro argo- mento cui la storiografia non ha ancora dedicato la giusta attenzione, almeno sul piano complessivo, e che è tanto più opportuno mettere a fuoco nei suoi problemi e aspetti centrali.

Una prima macroscopica disparità emerge nel confronto tra i due principali Ordini mendicanti: i frati Minori e i frati Predicatori. Ai francescani è dedicato il contributo di Anna Pegoretti, che fin dal titolo (Per una definizione minima dei volgarizzamenti“francescani”) sottolinea le difficoltà cui si trova di fronte chi intenda tracciare un quadro d’insieme delle pratiche del volgarizzare nel com- plesso universo minoritico. Dopo i pionieristici lavori di Francesco Bruni, molte questioni di fondo restano aperte anche su dossier imponenti e battuti dalla storiografia recente, come quelli degliActus/Fiorettio delleMeditationes vitae Christi. Delle Meditationes– uno dei testi devozionali più diffusi nell’Europa tardomedievale, spesso attribuito, già nel primo Trecento, a Bonaventura da Bagnoregio – sono sicuri soltanto l’origine e la pertinenza francescane delle versioni in volgare, adattate a esigenze e pubblici diversi (per lo più, comun- que, interni o vicini all’Ordine). Quanto agliActus/Fioretti, il dibattito su au- tori, contesti e finalità delle due opere è in corso, complicato dalla necessità di indagare, prima ancora del passaggio dal latino al volgare, quello dalla tradi- zione minoritica precedente agliActusstessi, la cui analisi è resa difficile dal frequente emergere e scomparire di determinate fonti. La situazione dei volgarizzamenti francescani appare così marcata da un lato dalla rilevanza

(16)

anche quantitativa di testi riguardanti la tormentata storia dell’Ordine, in una continua e sempre militante riflessione collettiva (non priva di una certa autoreferenzialità) su un’esperienza avvertita come assolutamente privilegiata;

dall’altro, dall’assenza di un preciso programma di volgarizzamento motivato da fini parenetici o pastorali.

Una ben diversa apertura alle esigenze e ai mutamenti della società laica emerge nel mondo domenicano. Maria Conte (Verso l’identificazione di una teoria domenicana del tradurre medievale) ricostruisce il formarsi, presso il convento di Santa Caterina di Pisa, e il consolidarsi, nel convento fiorentino di Santa Maria Novella, del grandioso progetto domenicano di volgarizzare testi biblici e patri- stici, agiografici e devozionali. Al campo del volgare i frati Predicatori estendono organicamente il proprio modello di diffusione del sapere ai fini della promo- zione e salvaguardia dell’ortodossia, affiancando il volgarizzamento alla predica- zione come strumento comunicativo e pastorale. I volgarizzamenti domenicani si affermano così, tra il finire del Duecento e la seconda metà del secolo successivo, attraverso un percorso che dagli iniziali tentativi di imporsi quale principale vei- colo di mediazione culturale nelle zone, come la Toscana, in cui l’Università non è ancora presente, passa attraverso una fase (nel primo ventennio del XIV secolo) di appropriazione e sperimentazione dei mezzi comunicativi, per arrivare–gra- zie alla lezione di Bartolomeo da San Concordio, assorbita e ampliata da Iacopo Passavanti–alla piena affermazione della scrittura volgare come elemento iden- titario raffinato e ben rodato, attento alla qualità della lingua e all’affidabilità dei testi non meno che ai loro contenuti.

I contorni del confronto tra francescani e domenicani sono arricchiti dalla considerazione dell’uso del volgare e dei volgarizzamenti in altre realtà rego- lari, come l’Ordine degli eremitani di Sant’Agostino. A tale proposito Xavier Biron-Ouellet (Volgarizzatori agostiniani nella Toscana del Trecento) sottolinea come il lavoro resti in buona parte da fare, tracciando tuttavia un primo quadro in cui all’origine dei volgarizzamenti agostiniani emergono un motivo identi- tario, ovvero la concorrenza con canonici regolari di Sant’Agostino per la paternità religiosa del santo di Ippona, e una spinta centrifuga, trasmessa all’Ordine da una personalità di spicco come Simone Fidati da Cascia, vicino al variegato fronte‘spirituale’e dissidente francescano. Ancora da chiarire resta invece la questione delle più ampie implicazioni sociali della pratica agostini- ana del volgarizzare.

Diverso è il caso dei Gesuati, che formavano non un vero e proprio Ordine, bensì una congregazione animata inizialmente da uomini indotti, ma presto aperta a persone in grado di leggere, capire e tradurre dal latino. Come mostra Isabella Gagliardi (I Gesuati e i volgarizzamenti), la presenza di uomini di cul- tura tra le fila gesuate era conseguenza non di uniteristituzionale di istruzione,

(17)

ma di modalità di reclutamento peculiari. Particolarmente chiaro è al riguardo lo scambio tra Giovanni Colombini e il notaio Domenico da Monticchiello sulla traduzione dellaMystica Theologiadi Ugo da Balma, dove Colombini assume il ruolo di‘consulente’del traduttore, pur non conoscendo il latino (e insistendo appunto sulla semplicità e purezza della propria condizione di ignoranza). Nei decenni seguenti le biblioteche gesuate furono composte in massima parte di volgarizzamenti, realizzati all’interno o all’esterno della congregazione, ma sempre condotti su testi appartenenti alla tradizione monastica riletti alla luce di un ideale apostolico rinnovato, il cui‘spirito’era giusto divulgare anche ai laici e agli indotti.

Chiude logicamente e cronologicamente il volume il contributo di Clémence Revest (Langue de la patrie et langue du pouvoir : une question humaniste entre Florence et Rome au début du Quattrocento), che, partendo dalla discussione sulla lingua dei romani che vide protagonisti Leonardo Bruni e Biondo Flavio, propone una comparazione tra i due principali poli di reclutamento e centri di sviluppo, nei primi decenni del Quattrocento, del movimento umanistico: la Curia romana e la Cancelleria fiorentina. In tale contesto, il pensiero umanistico oscillò tra due modelli di potere idiosincratici, le cui ripercussioni, anche dal punto di vista della storia della lingua, furono molto diverse: da un lato, le nuove forme del latino neo-ciceroniano accompagnarono la formulazione di un’- ideologia costruita sui legami storici tra Roma, il papato e la lingua latina, e tale da promuovere il latino classicheggiante a lingua di Stato e a lingua sacra (lasciando nell’ombra la questione del volgare); dall’altro, la costruzione dell’identità civica fiorentina si avvalse dei miti umanistici dell’antica civiltà etrusca e di Firenze come altra Roma, ma tenendo presente il problema dello statuto del volgare–non senza qualche indugio–a partire dalla riflessione sul- l’importanza delle tre Corone fiorentine.

(18)

archivi

ADV Archives départementales de Vaucluse ASFi Firenze, Archivio di Stato

ASPo Prato, Archivio di Stato

BACT Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares BAV Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana BCA Perugia, Biblioteca Comunale Augusta

BCI Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati BL London, British Library

BML Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana BM Firenze, Biblioteca Moreniana

BNB Milano, Biblioteca Nazionale Braidense BNCF Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale

BNCR Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II BNE Madrid, Biblioteca Nacional de España

BNF Paris, Bibliothèque Nationale de France BR Firenze, Biblioteca Riccardiana

SPK Berlin, Staatsbibliothek Preussicher Kulturbesitz

Open Access. © 2021 Sara Bischetti, et al., published by Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston.

This work is licensed under the Creative Commons Attribution 4.0 International License.

https://doi.org/10.1515/9783110702231-204

(19)
(20)

’ ’

Elementi di una storia sociale dell ’ attività del tradurre nella Toscana medievale (1260 – 1430)

Abstracts:In quest’articolo, si introducono i contributi del volume e, allo stesso tempo, si forniscono le linee-guida metodologiche dello studio della traduzione medievale come sono state perseguite e realizzate nel contesto del progetto ERC StG 675333–BIFLOWToscana Bilingue. Infine, si descrivono i risultati, per quanto provvisori, dello studio del fenomeno realizzato dal team di ricerca.

In this article we introduce all of the volume’s essays and present the methodo- logical guidelines of the study of medieval translation as they have been pur- sued and implemented in the context of the ERC StG 675333–BIFLOWToscana Bilingueproject. Finally, we describe the (albeit sometimes provisional) results of the studies carried out by the research team.

Parole chiave:Medieval Translation, Peter Burke, Bilingualism, Social History of Medieval Translation, Medieval Tuscany,Ars dictaminis, Religious Transla- tions, Humanism

Il progetto ERC-StG 675333 BIFLOW(Bilingualism in Florentine and Tuscan Works, 1260–1430)Toscana Bilingueha lo scopo di studiare il fenomeno della traduzione medievale mobilitando contemporaneamente gli strumenti della storia socio- culturale e della filologia medievale. Alla restituzione di un gruppo cospicuo di testi, distribuiti secondo la cronologia considerata (tra metà Duecento e afferma-

Antonio Montefusco,Università CaFoscari Venezia

Annotazione:Mantengo landamento orale dellargomentazione, riducendo al minimo lanno- tazione. Ringrazio Sara Bischetti, Michele Lodone, Cristiano Lorenzi, Giuliano Milani e Michele Vescovo per le letture e i consigli. Il team del progetto è una fonte di ispirazione e una spe- ranza per il futuro di questa ricerca: se queste riflessioni hanno qualche pregio, a loro deve essere addebitato; i difetti sono invece tutti responsabilità dello scrivente.

Per informazioni generali sul progetto, sulle pubblicazioni e gli eventi, vedi il sito www.bi flow.hypotheses.org; il catalogo, ora ospitato sul GitHub di Tiziana Mancinelli https://tmanci nelli.github.io/biflow_website/ verrà presto trasferito su www.catalogobiflow.vedph.it. Per una presentazione del catalogo e delle implicazioni della rappresentazione digitale dellatti- vità della traduzione, cfr. ora Mancinelli, Montefusco,What model for which catalogue?

Open Access. © 2021 Antonio Montefusco, published by De Gruyter. This work is licensed under the Creative Commons Attribution 4.0 International License.

https://doi.org/10.1515/9783110702231-001

(21)

zione dell’Umanesimo) in un contesto preciso (la Toscana medievale), abbiamo affiancato un approfondimento metodologico e una catalogazione esaustiva dei testi medievali (XII–XV secolo) toscani che hanno avuto una redazione e/o tra- smissione in più di una lingua. Nel contesto socio-culturale dell’epoca, scelte lin- guistiche e traduttive devono essere inserite e giudicate negli sviluppi delle istituzioni che hanno permesso e governato la distribuzione dei saperi: secondo quest’approccio, diventa importante conoscere i protagonisti degli atti traduttivi (i traduttori, ma talvolta anche gli attivi copisti che hanno partecipato a una tra- smissione non inerziale dei testi), i loro destinatari (committenti e pubblico), e mappare la tradizione manoscritta dei testi nelle varie lingue. Come detto già nella Premessa, il convegno internazionale Toscana Bilingue (1260–1430). Per una storia sociale del tradurre medievale, che si è tenuto a Venezia a novembre 2018 è stato un momento decisivo di allargamento della riflessione secondo le linee appena evocate. In questa sede, vorrei riprendere il ragionamento che ab- biamo presentato altrove, cercando di delineare con maggiore precisione l’infra- struttura metodologica che ha sorretto il nostro lavoro–che si è avvalsa anche di un forte contributo digitale, teorico e pratico–e i primi risultati, per forza par- ziali, di questa impresa collettiva. Partirò, dunque, dal ruolo sociale della tradu- zione nel quadro socio-istituzionale dell’epoca (§ 1–2), per affrontare la questione metodologico-teorica della storia sociale del tradurre medievale, riprendendo so- prattutto le riflessioni nel campo degli studi sulla traduzione di Peter Burke (§ 3), per poi terminare con un primo abbozzo di questa storia, a partire dalle nostre ricerche, tra XIII e XV secolo (§4).

1 Siena, 1309

Nel 1309, il governo senese dei Nove decide di affidare a Ranieri di Ghezzo Gan- galandi, notaio fiorentino di famiglia ghibellina, il volgarizzamento del Costituto.

Si tratta della normativa cittadina, stabilizzatasi alla fine del secolo precedente;

una commissione, composta da tredici emendatori, ordina che, a partire da que- sta versione finalmente stabile, ne venisse realizzata una versione volgare. Leg- giamo velocemente il dispositivo:

«Et che li signori camarlengo et IIII proveditori del comune di Siena, sieno tenuti et de- biano, sotto pena di X libre di denari per ciascuno di loro, fare scrivere, a lexpese del comune di Siena, uno statuto del comune, di nuovo in volgare di buona lettera grossa, bene legibile et bene formata, in buone carte pecorine [. . .] el quale statuto stia et stare debia legato ne la Biccherna, accioché le povare persone et laltre persone che non sanno

(22)

gramatica, et li altri, equali vorranno, possano esso vedere et copia inde trare et avere a·lloro volontà».1

La provvisione che ordina il volgarizzamento aveva già dato–con le stesse pa- role poi inserite in volgare nel testo–indicazioni precise in merito sia all’alle- stimento pratico del codice che ne doveva trasmettere l’opera sia al pubblico destinatariodell’operazione. Il testo dovrà essere scritto:

«In vulgari de bona lictera crossa bene legibili et bene formata in bonis cartis pecudinis [. . .] quod statutum stet et stare debeat ligatum in Biccherna, ut pauperes persone et alie persone gramaticam nescientes et alii qui voluerint possint ipsam videre et co- piam exinde sumere».2

È molto raro, nei volgarizzamenti medievali–italiani e non–, trovare tale pre- cisazione sociologico-ricezionale; nella traduttologia che emerge in questo luogo deputato a esplicitare scopi e metodi dell’opera, il“volgarizzare”sembra solitamente imbrigliato all’interno di un quadro cognitivo che obbliga chi lo realizza a ripetere itopoidell’umiltà della propria opera e dell’inadeguatezza del risultato finale, trasformazione ultima di una concettualizzazione che risale a Girolamo ma che ne depaupera la profondità e la complessità.3L’importanza, il ruolo e il significato del costituto volgare è ancora oggetto di una vivace di- scussione in sede storiografica, che coinvolge grosso modo anche l’interpreta- zione complessiva dei regimi di popolo e delle loro istituzioni.4 Secondo Salvestrini e Tanzini, la traduzione dello statuto risulta dall’intento di esclu- dere, alla vigilia della missione di Enrico VII, i professionisti che sostenevano le nuove mene deigrandi, e cioè gli specialisti del diritto e il mondo ecclesiastico:

mondi uniti, appunto, dal dominio della lingua latina.5 Il testo difatti non ri-

1 Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, I, dist. I, rub. 586, pp. 411412.

2 Ibid., p. X. ConBicchernasi intendono i volumi dei registri contabili della città.

3 Cfr. almeno Buridant,Translatio medievalis, pp. 81136 eRethinking Medieval Translation.

Più specificamente sulle tesi traduttologiche di Girolamo e sulla sua prassi traduttoria, Chiesa,Ad verbum o ad sensum?

4 Una ricostruzione, seppure parziale, è in Ascheri,Siena nel 1310. Sulluso del volgare nel diritto, cfr. in generale Bambi,Scrivere in latino; per uninterpretazione che qui si segue più da vicino, cfr. Salvestrini, Tanzini,La lingua della legge.

5«Significativamente fra gli emendatori del 1309 non figurava nessun operatore del diritto. La redazione del costituto in volgare rappresentò una vera e propria rottura nelle pratiche della scritturazione normativa municipale. Il ricorso allidioma locale fu, infatti, inteso soprattutto come alternativa al linguaggio di giudici e notai, ossia di coloro che si ritenevano gli unici ad- detti a leggere e quindi capire ed applicare la legge. il volgarizzamento senese fu motivato da una forte diffidenza della magistratura di governo nei confronti dei giuristi, ritenuti troppo vi- cini al ceto deigrandie lontani dalle esigenze dei popolari allora al potere»,ibid., p. 273.

(23)

sulta essere stato utilizzato in sede giuridica, e non ha avuto una vita propria nella tradizione manoscritta: nessuno, cioè, ne ha tratto copia. Questo quadro tende ad attutire la democraticità dell’operazione (ma, a mio parere, un intento di allargamento dei lettori non si può escludere in maniera troppo unilaterale).

Il Governo dei Nove, il più longevo governo (resse la città dal 1287 al 1355) di

“popolo”nella storia dei comuni,6esplicita con forza l’intenzione di parlare a tre categorie differenti e con diversi gradi di sovrapposizione sociale, incasto- nando il pubblico-tipo del volgarizzare (lealie persone gramaticam nescientes) in mezzo a due altre categorie: ipoverie coloro che–presumibilmente anche senza averne bisogno – abbiano desiderio, anzi meglio voluntas, di leggerlo o trarne copia. La struttura sembra meditata e voluta da parte degli emendatori, che hanno inteso mostrare una gittata dell’operazione che allarga sensibil- mente la cittadinanza, includendo anche i più deboli (presumibilmente si tratta deipauperes laboriosi, unico oggetto possibile di carità), includendo i classici

‘laici’per arrivare a chi, presumibilmente dotato delle competenze di lettura ne- cessarie, vorrà apprezzare il testo. È dunque in questo circuito allargato che il costituto volgare diventa un monumento, un manifesto politico che inserisce l’uso del volgare, e con essa l’opzione del volgarizzare, all’interno del più com- plesso gioco socio-istituzionale, strumentalizzandone il valore contro uno spe- cifico gruppo di forze, ma anche forzandone verso il basso la potenzialità.

Questo atto di traduzione pubblica avviene a Siena, non dimentichiamolo:

in anticipo su tutta l’area europea, e mi pare significativo, non soltanto a con- ferma del policentrismo, culturale e in questa fase anche geopolitico della re- gione toscana, ma anche in ragione di un intreccio strettissimo tra cambiamenti istituzionali, sviluppo economico e pratica del tradurre. Siena si era già mostrata terreno fertilissimo, su questo piano, grazie alla traduzione delDe regimine prin- cipumdi Egidio Romano. La traduzione è attuata praticamente all’indomani del- l’instaurazione del governo popolare, nel 1288, in una data piuttosto ravvicinata alla redazione dell’opera latina (terminata poco prima del 1280), condotta sulla versione francese ma ricontrollata anche sulla versione originale.7La scelta del testo egidiano, che a prima vista può sorprendere perché costruito come uno Speculum principum, si rivela appropriata, perché ilDe regimineè uno dei trat- tati che discute in maniera approfondita delregnume dellacivitascon un’ottica che individua in una salda guida la possibilità di un vivere comune incentrato

6 Classico riferimento è Bowsky,Un Comune italiano nel Medioevo, che però scarsa impor- tanza concede allo statuto in volgare.

7 Il volgarizzamento in questione è edito inIl Livro del governamento dei re. Sul testo latino, e la sua diffusione, italiana e non solo, andrà richiamato almeno Briggs,Giles of RomesDe Regi- mine Principum; nuove prospettive sulla ricezione del testo emerge dallanalisi di Laura Calvaresi.

(24)

sull’interesse collettivo; la costruzione politica proposta nell’opera si fonda, es- senzialmente, sulla riflessione politica aristotelica. Lascio in sospeso la que- stione dell’organicità del testo volgare all’ideologia popolare–perché, in linea teorica, esso potrebbe anche costituire unarispostaalla sua instaurazione8–ma sottolineo questo intreccio tratransfertculturale dal mondo antico (Aristotele), filtro medievale moderno (cultura agostiniana), interazioni linguistiche tra i vol- gari (dal francese al toscano), diffusione del patrimonio mediolatino (influenza del testo originale) e contesto istituzionale come coordinate fondamentali del quadro complessivo della pratica del tradurre nel contesto cittadino toscano dell’epoca.

Questo quadro costituisce una continuità particolarmente tangibile nel contesto senese. Già Gabriella Piccinni suggerì che il citato costituto in vol- gare potesse aver trovato ispirazione nel volgarizzamento.9Tempo fa, Nicolai Rubinstein mostrò come un’aggiunta operata dal testo volgare al testo latino, che fa riferimento alle pene rivolte ai malvagi, e in particolare all’esclusione di coloro che sono al di fuori del diritto collettivo, sembra trovare una corri- spondenza nella raffigurazione nel grandioso affresco degli Effetti del buon governo(1337–1340) di Ambrogio Lorenzetti, laddove vengono rappresentati dei personaggi legati al cospetto del Comune.10Il regime popolare investe con generosità le proprie risorse per sollecitare un sistema comunicativo totale, che aspira a coprire l’intera comunità politica, tramite l’uso del volgare, tal- volta anche strumentale, e quello delle immagini. Infatti, se pure non è sem- plice parlare di fonti, vari indizi sembrano far convergere la traduzione delDe regimine, il costituto in volgare e gli affreschi del Buongoverno in un progetto comunicativo compatto e continuamente circolare. Particolarmente significa- tivo, in questo senso, il passaggio che nel volgarizzamento viene dedicato alla politia:

«La quinta signoria sì è quando la città à molti signori sì come tuttol popolo, et sed esso entende el bene dei povari e dei meççani e dei ricchi e di ciaschuno secondo el suo estato, cotale signoria è buona, e la potemo chiamare chovernamento di popolo».11

8 In generale, sembra emergere una idea fortemente filofrancese, che tende a vedere nella monar- chia un esempio di pacificazione della città: vedi linterpretazione di Papi nelledizione citata e riassuntivamente le osservazioni in Papi, Lorenzi,Lessico politico, pp. 171178.

9Piccinni, Siena 13091310; si raccomanda anche larticolo di Bartoli Langeli, Uso del volgare.

10Rubinstein,Political ideas in Sienese art; ma vedi anche, per unulteriore corrispondenza, Donato,Immagini e iscrizioni.

11 Il Livro del governamento dei re, III.II.II.1014.

(25)

Il brano precede quello dedicato alla «perversità del popolo», con riferimento alla degenerazione della tirannide, che pospone il riferimento ai regimi delle città italiane, con l’effetto di trasformare quella che era una neutra esemplifi- cazione in, appunto, una potenziale posizione critica rispetto a tali regimi.12 In questa sede, vale la pena sottolineare come il Governo dei Nove, pur espli- citamente costruito intorno al nocciolo deimeççani,13sembra coerentemente sviluppare quell’allargamento della ricezione delbenee del suo sviluppo nor- mativo: iltricolonsociale qui delineato attraverso ipovari–meççani– ricchi sembra trovare sviluppo e variazione nella formula degli emendatori, che pre- tendono che la traduzione del Gangalandi sia realizzata a uso deipauperes, deinescientese deivolentes. Vedremo in che senso questo è un modello vin- cente, e perché la traduzione è uno degli strumenti principe di tale politica.

2 Firenze, 1355

In una fase in cui, invece, Firenze è già diventata dominante su scala regionale e internazionale, il Comune commissiona il volgarizzamento ufficiale dell’in- tera legislazione statutaria della città, ivi compreso il testo-chiave del regime popolare, gli Ordinamenti di giustizia del 1293 (con le correzioni del 1295).14 Siamo nel 1355–1356, e la scelta ricade su Andrea Lancia, notaio attivo nel co- mune fiorentino fin dal 1314. L’iniziativa coronava un impegno di lunghissima data (almeno quarantennale) del notaio, che si era dedicato, nella sua attività letteraria, essenzialmente ai volgarizzamenti, in particolare a Virgilio, Ovidio, alle lettere di Seneca e al commento ai Salmi di Agostino.15Questo episodio ha tutte le caratteristiche per essere considerato centrale, per cronologia e so- stanza. Il volgarizzamento degli statuti da parte del Lancia sembra costituirsi come un riconoscimento“ufficiale”della figura del traduttore, un momento im- portante, tipicamente trecentesco, della storia di questa pratica, che ne consa- cra la necessità sociale e istituzionale oltre che l’importanza letteraria.

Facciamo un passo indietro. La ricca messe di studi che si sono accumulati sulla tradizione manoscritta dei volgarizzamenti (classici e non) ha dimostrato

12 Papi, Lorenzi,Lessico politico, p. 172.

13 Bowsky,Un comune italiano nel Medioevo, p. 107; Mucciarelli,I Tolomei, banchieri di Siena, pp. 1214.

14 La legislazione antimagnatizia a Firenze, mentre le correzioni sono inOrdinamenti, provvi- sioni e riformagioni.

15 Azzetta,Per la biografia, a cui vanno aggiunti ancheVizi e virtù; Andrea Lancia,Chiose alla Commedia.

(26)

come, nella prima metà del Trecento, l’attività in questione si collocava decisa- mente, dopo un periodo di incubazione contraddittorio, su «una posizione di prestigio e di alta responsabilità (niente affatto inferiore, ma semmai diversa, rispetto alla considerazione riservata alle scritture originali pure in volgare)», come ha affermato Massimo Zaggia.16Le indagini condotte per il nostro cata- logo confermano una ristrutturazione del paesaggio culturale nel secondo Tre- cento, quando i volgarizzamenti di ambito laico scivolano alla fascia bassa della circolazione culturale, e prendono il sopravvento, invece, delle vere e pro- prie campagne di traduzione in ambienti religiosi. I due ordini mendicanti mag- giori (Minori e Predicatori) avevano fatto sentire la loro presenza nella prima fase: in maniera contraddittoria i francescani, come al solito difficilmente ridu- cibili, dati i conflitti interni, a una linea unitaria; in modo più lineare e ap- propriativo i Domenicani, capaci di mettere in campo una politica culturale raffinata e complessa, grazie alla convergenza di grandi personalità (come Bartolomeo di San Concordio) e una solida struttura istituzionale. Una linea culturale, è bene sottolinearlo, in cui la traduzione, non di rado in latino (come nel caso delDevisement dou mondedi Marco Polo) è fondamentale. Gli anni centrali del secolo si confermano un periodo di passaggio, grazie all’at- tivismo degli agostiniani e in particolare di Simone da Cascia e di personalità a lui legate (come Gentile da Foligno), ma anche dei gesuati, con il protagoni- smo di Giovanni Colombini e Domenico da Monticchiello. Sono campagne culturali e devozionali che spostano il centro di gravità testuale verso testi come quelli della filiera francescana“spirituale”e la teologia mistica del se- colo precedente, modificando il paesaggio culturale fiorentino.17

In questo quadro, mi pare importante insistere sul profilo culturale del Lan- cia, sotto la lente, da lungo tempo, di studiosi come Luca Azzetta e Giulio Vac- caro: perché il Lancia ci mostra proprio in quale preciso quadro intellettuale si accumula il prestigio culturale della traduzione. Notaio prima presso la Curia, poi inserito nelle articolazioni del comune dopo il superamento del governo oli- garchico (a partire dagli anni’30 del’300), Lancia sembra costituire una figura- chiave nella cultura cittadina perché al centro di unnetworkdi personalità del mondo letterario fiorentino, legate insieme dal culto dantesco e dall’attività tra- duttoria: penso, qui, soprattutto ad Arrigo Simintendi e a Giovanni Boccaccio.18

16Ovidio,Heroides, I, p. 4.

17Vedi in questo volume gli interventi relativi agli ordini mendicanti con la bibliografia rela- tiva, a cui aggiungi almeno Antonelli,LOrdine domenicano; Bologna,LOrdine francescano;

Bruni,Lapporto dellordine domenicano; Bruni,Volgarizzamenti francescani; Delcorno,Produ- zione e circolazione; Bischetti, Lorenzi, Montefusco,Questione francescana.

18 Azzetta,Tra gli amici e i cultori di Dante.

(27)

L’attitudine del primo Boccaccio, di recente chiarificata da Stefano Carrai,19si co- stituisce come vero contraltare rispetto all’innegabile, seppure diverso, sospetto che Dante e Petrarca avranno per il volgarizzare; e tale differente attitudine trova spiegazione proprio in questo sfondo, nella Firenze dei volgarizzamenti“presti- giosi”. Un ultimo aspetto che devo segnalare è l’impronta schiettamente dittami- nale del progetto culturale del Lancia. Lo si vede dalle due superstiti scritture

“d’invenzione”: si tratta, essenzialmente, di due lettere, una di natura cancellere- sca (l’Epistola Andree notarii florentini domino Nicolao abbati monasterii Sancte Marie de hedificatione dicti monasterii,trasmessa in Firenze, BNCF, Conv. soppr., C. I. 2641) e un’altra ispirata dall’epistolario senecano.20Va poi segnalato come, tra i codici da lui posseduti e postillati, sia presente una importante miscellanea didictamina, che trasmette le lettere di Pier della Vigna accanto ai testi di Bonfi- glio di Arezzo.21

Il profilo di Ranieri di Ghezzo Gangalandi non sembra sovrapponibile con quello di Andrea, come pure talvolta è sembrato.22Ranieri proviene da una fami- glia ghibellina che si stabilisce a Siena a metà Duecento; l’inserimento all’interno del mestiere notarile (praticato anche dai fratelli) viene probabilmente patroci- nato dalla famiglia della moglie del padre, Necca, sorella di Orlando e figlia di Diecildie, notai legati ai francescani e con un forte rapporto con le istituzioni cit- tadine.23L’attività di Ranieri è attestata nel primo decennio del Trecento, e si ca- ratterizza per un forte rapporto con l’Arte della Lana (è il notaio che collabora all’aggiornamento dello statuto) e con le principali istituzioni religiose legate al comune: i conventi cistercensi di Santa Maria Novella di Siena, legato alla“Mer- canzia”, e di San Galgano, e la confraternita dellaDomus Misericordie. Tra 1307 e 1308, Ranieri partecipa, in qualità diiudex ordinarius et notarius, alla redazione di atti solenni, tra cui l’inserzione dei documenti fondativi dell’abbazia di San Galgano nella collezione di diplomi e privilegi chiamati «Caleffo». Il legame tra il personale dei conventi cistercensi e il comune è assicurato dal fatto che i tesorieri della Biccherna provengono dall’entouragereligioso (talvolta in alternanza con gli Umiliati).24La scelta dei Nove ricade su un uomo di fiducia del governo ma

19 Carrai,Boccaccio e i volgarizzamenti.

20 Azzetta, Ceccherini,Andrea Lancia, p. 195, segnala che il manoscritto autografo Siena, BCI, C. III. 25, trasmette un compendio delleEpistulae ad Luciliumsecondo una versione indi- pendente dalla traduzione diffusa nel Trecento; si tratterebbe, tra laltro, di un impegno piut- tosto precoce nel tempo.

21 Azzetta, Ceccherini,Andrea Lancia.

22 Salvestrini, Tanzini,La lingua della legge, p. 288.

23 Parenti,Dagli Ordinamenti di Giustizia, pp. 261262; Neri,Culture et politique.

24 Cfr. Neri,Ranieri Ghezzi Gangalandi.

(28)

soprattutto del suo ceto di specialisti nel campo normativo, anche in ragione dello spirito polemico (in parte proprio contro questi specialisti) dell’operazione.

Ciò che va sottolineato è che i Nove diano per scontato che un tale profilo possa anche dare seguito a un incarico complesso, richiesto secondo linee piuttosto precise e con una tempistica molto ristretta.25Il governo popolare, dunque, non convoca un autore che si era già dedicato a una scrittura volgare complessa (come sarà per il traduttore e commentatore Andrea Lancia), ma confida nel bi- linguismo professionale e tecnico che caratterizza il bagaglio di un notaio ad al- tissimo livello. La situazione non è poi così lontana da quella bolognese, dove uno strato peculiare del mondo notarile in forte contatto con mercanti e ban- chieri sentiva più forte la pressione verso il volgare, specialmente nella funzione di mediazione tra norma e prassi che si concretizza nell’atto giuridico.26Su scala europea, qualche maestro arriva già a proporre la scritturazione, perlo- meno nella parte essenziale del negozio giuridico, di una parte dell’instrumentum in volgare: è il caso, tra gli altri, di Konrad von Mure (ca. 1275).27Il costituto- manifesto è anche un monumento a questo bilinguismo e al suo ruolo nell’artico- lazione istituzionale di un comune di popolo.

3 Translation has a history

I casi di Ranieri e Andrea sono rappresentativi della diversità dei profili degli operatori culturali implicati nell’attività della traduzione nel momento di asse- stamento della tradizione letteraria volgare prima dell’Umanesimo. Manca, allo stato attuale, una sistematica raccolta di dati prosopografici intorno ai volgariz- zatori, lavoro ancora non tentato forse sulla base della convinzione, già scolpita dal pioniere dell’approccio moderno alla questione del volgarizzare, Francesco Maggini, del diffuso anonimato dell’opera tradotta nonché della sua spintis- simamouvancetestuale, che l’ha resa oggetto di importanti riflessioni in campo strettamente ecdotico, ponendo continuamente in problema il rapporto tra ori- ginale, versioni, rimaneggiamenti: lo dimostrano gli studi di Claudio Ciociola, Giovanna Frosini e di Cristiano Lorenzi.28L’anonimato, tuttavia, contrasta con

25Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, I, rubr. CXXXIV, p. 126.

26Antonelli, Feo,La lingua dei notai bolognesi.

27DieSumma de arte prosandi.

28 Maggini,I primi volgarizzamenti dai classici latini; DAgostino,La prosa delle origini e del Duecento; Frosini,Volgarizzamenti; Lorenzi,Redazioni plurime e rimaneggiamenti, assieme ai contributi di Massimo Zaggia.

(29)

figure di cui emerge un’attività più continuativa che sfocia, come abbiamo visto, in un riconoscimento pubblico; sono figure che non possono essere rac- chiuse nella limitativa, seppure suggestiva, formula del cosiddetto“triumvirato predantesco”individuato da Segre in Bono Giamboni, Brunetto Latini e Zuc- chero Bencivenni,29 e invece formano una più larga serie di personalità il cui progetto culturale differisce da quello delle tre Corone per il (diverso) divinco- larsi di queste ultime rispetto all’attività traduttoria che per la loro profondis- sima incidenza culturale.30

Dagli studi di Schiaffini e Concetto Marchesi fino agli importanti progetti recenti (penso soprattutto alDiVo– Dizionario dei Volgarizzamenti),31 l’atten- zione è stata portata, a giusto titolo, sui volgarizzamenti dei classici, con un’at- tenzione specificamente lessicale e filologico-editoriale. Una lunga tradizione critica di studi sui volgarizzamenti si è esercitata su uncorpuslegittimo che ha lasciato fuori –almeno dal punto di vista della catalogazione sistematica –i testi medievali, o meglio“moderni”(ci tornerò), dal fuoco dell’indagine. Anche Folena, che forse più di altri si è posto il problema di affrontarli “a parte in- tera”, ha finito per proporli sotto un’ottica contrastiva, in cui finivano per es- sere «massa», seppure composta da testi «pregevolissimi»:

«Si possono dunque considerare i volgarizzamenti dai classici come legati fra loro da un rapporto significativo e non puramente estrinseco, e come un filone di particolare importanza, che si distingue dalla massa dei volgarizzamenti, talora pregevolissimi e superiori a questi, dal latino della tradizione cristiana e medievale e da quello dei moderni?»32

Questo specifico ritaglio testuale, debitore di una linea di riflessione che risaliva alla Crusca, influenza ancora in profondità il saggio introduttivo deiVolgarizza- mento del due e trecentodi Segre, dove i volgarizzatori sono le «controfigure» di un movimento culturale che porta «se non al centro, nella prossima periferia di quello che sarà l’Umanesimo», finendo insomma per considerarli «riflesso analizzabile della luce che si veniva gettando sul gran mare del mondo clas-

29 Si tratta di una delle memorabili formule coniate nellantologia ricciardiana deiVolgarizza- menti del Due e Trecento, la cui introduzione è confluita in Segre,Lingua, stile e società; in questo caso, però, lefficacia dellimmagine si scontra con lincertezza della cronologia e la estrema diversità dei profili e degli stili, come nota già Zaggia in Ovidio,Heroides.

30 E vedi su questo gli interventi di Lombardi e Gragnolati, Nasti, Geri e Carrai in questo volume.

31 Schiaffini,Tradizione e poesia; Marchesi,Di alcuni volgarizzamenti;DiVo(http://divoweb.

ovi.cnr.it/(S(gz3ivtjurhhb2hqiyvyrgk45))/CatForm01.aspx); in generale, cfr. Dotto,Note per la lemmatizzazione.

32 Folena,Volgarizzare e tradurre, p. 42.

(30)

sico».33Oggi si può dire che quel quadro ermeneutico è stato se non superato, forse sfilacciato dall’ottica pluricentrica che Ronald Witt ha proposto per la nascita del movimento umanista (sia diacronica sia sincronica).34Importa in- sistere sul fatto che, una volta schiacciata sul problema della traduzione dei classici, la cosiddetta «attività specifica» del tradurre, per riprendere l’efficace espressione di Segre, ne viene, bisogna dire, forzatamente ridotta a una certa unilateralità. Questa pratica, in particolare nel medioevo europeo, fu senz’al- tro centrale ed ebbe un ruolo fondativo nell’intero quadro di affermazione delle lingue volgari: ciò che resta fedele al memorabileincipitdi Folena, che pretendeva, appunto, chein principio fuit interpres, assegnando, cioè, alla tra- duzione una primazia non solo cronologia in ogni genesi letteraria. Ma è da rilevare come essa si costituisca come un vero proprio campo di tensioni, dove la prassi traduttoria si inserisce all’interno di un quadro in cui le varia- bili sono le idee linguistiche diffuse all’epoca, i rapporti tra le lingue e le loro interazioni, nonché le competenze linguistiche.

In questo senso, se la traduzione dei classici ci pone un problema evidente diimitatio /aemulatio, non solo ad esso, come ci ha sempre insegnato Peter Burke per il mondo moderno, possiamo ridurre l’esercizio della traduzione che comporta continuamente un processo ditransfertculturale, e deve, dunque, es- sere collocata all’interno del più generale problema della circolazione e distri- buzione dei saperi nonché dello sviluppo socio-istituzionale in cui essi si (ri)collocano e trovano nuovi significati. In questo quadro matura l’idea che la traduzione possa e debba diventare un oggetto di storia a tutti gli effetti; lo ha affermato provocatoriamente sempre Burke: «translation has a history [. . .],

33«Volgarizzamento è nella nostra prima letteratura situazione mentale prima che attività specifica. Le formule di Guido Fava, le lettere di Guittone, il trattato di Bono Giamboni, pos- sono sembrare in più punti foggiati su un modello latino che non esistette mai. Lorientamento delle prime opere originali in prosa non differisce da quello delle ultime opere in latino, es- sendo le condizioni culturali degli autori pressoché le medesime; gli interessi delluna e del- laltra attività si sostengono a vicenda [. . .] Ecco perciò che la varia fortuna e il vario atteggiarsi dei volgarizzamenti ci portano piano, se non al centro, nella prossima periferia di quello che sarà lUmanesimo [. . .] Se poeti e prosatori sono i protagonisti, i volgarizzatori sono le controfigure; e non è improbabile che questi abbiano dato aiuto o suggerito qualcosa a quelliè certo invece che, nella loro opera, perché appoggiata a un modello esterno invece che a un più saldo fulcro ideale, le sollecitazioni dei varii momenti letterari hanno condizio- nato più vistosamente materiali e attitudini [. . .] Vorremmo dunque evitare di attribuire ai vol- garizzamenti unefficacia determinante ed univoca nei rispetti della letteratura originale; e considerarli piuttosto come un riflesso analizzabile della luce che si veniva gettando sul gran mare del mondo classico, attribuendo loro, invece che una precedenza, un ideale parallelismo con le altre espressioni del pensiero letterario». Segre,Lingua, stile, società, p. 49.

34 Witt,«In the Footsteps of the Ancients»e più in generale inThe Two Latin Cultures.

(31)

but until quite recently this history was an academically marginal activity, pur- sued on the fringes of literary and religious history».35Ciò implica, negli stru- menti catalografici come nell’approccio di studio generale, un passaggio del focusdell’interesse dai testi e dal loro lessico all’attività che ha presieduto al loro farsi, in un quadro d’insieme che deve dunque tenere conto delle domande elaborate dallo studioso per indagare i sistemi di traduzione prevalenti in un dato periodo: «Who translates? With what intentions? What? For Whom? In what manner? With what consequences?».36

Per individuare con più precisione cosa intendiamo con attività di tradu- zione (come si traduce, in che maniera e con quali conseguenze), è particolar- mente utile riferirsi sempre a Peter Burke e al suo concetto di cultures of translation: derivato dall’antropologia, esso indica l’insieme dei processi che accompagnano gli scambi culturali, sviluppando delle convenzioni condivise che governano le pratiche del tradurre. In questo senso, possiamo dar seguito a una intuizione già di Cesare Segre, per cui la traduzione è da considerarsi, nel- l’uomo medievale, sia «situazione mentale» sia «attività specifica.» In altri ter- mini, all’interno di questi scambi culturali (la“situazione mentale”), il tradurre da una lingua all’altra ne articola l’“attività specifica”.37 Il principio che ne muove la progettazione è sempre l’allargamento della fascia dei lettori: ciò av- viene sia nelle traduzioni“verticali”, che permettono l’accesso degliillitteratiai contenuti testuali; sia“orizzontali”, che permettono lo scambio tra culture, sia in quelle retroverse (da una lingua popolare a una lingua internazionale: per esempio, dal volgare al latino), che permette la diffusione dei testi su scala extralocale. E una attività ha bisogno sia di regole condivise, sia di strumenti, sia di scopi, e infine di operatori culturali specificamente adibiti (i traduttori).

Su questo piano, il medioevo e la prima cultura moderna condividono una certamouvancedel rapporto tra testo-fonte e testo tradotto: nonostante l’affina- mento delle teorie della traduzione tra Umanesimo e Rinascimento, per arrivare a un ideale rapporto univoco tra i testi inseriti nel dossier di traduzione (fonte o fonti e loro resa traduttoria) e oggetto di tale attività ci sarà bisogno di un mer- cato librario molto automatizzato e di larga scala: per restare a questa termino- logia antropologica, la negoziazione tra i testi implicati nel processo è spesso instabile. Gli studi filologici sui volgarizzamenti medievali hanno rilevato la

35 Burke, Po-Chia Hsia,Introduction. La storia socio-culturale della traduzione costituisce una specifica applicazione di quellambizioso programma di «social history of language, a social history of speech, a social history of communication» che lo stesso Burke preconizzava negli anni8090 del XX secolo:Languages and Jargons, p. 1.

36 Burke, Po-Chia Hsia,Introduction, p. 11.

37 Segre,Lingua, stile, società, p. 49.

(32)

grande diffusione di anonimato nella trasmissione manoscritta; ma ancora più in generale, laddove si realizza tra testi ravvicinati nel tempo (quindi da un testo medievale a una traduzione medievale), l’attività di traduzione tende for- temente a indebolire le nozioni di autore, traduttore, copista: per questo mo- tivo, diventa importantissimo censire tutte le persone coinvolte nell’attività (che chiameremo operatori culturali) e comprendere il loro apporto (per esem- pio, un copista che interviene cambiando il testo di un volgarizzamento tramite un ricontrollo sul testo-fonte).38

Per passare, invece, al“cosa si traduce”, è risultato utile e necessario al- largare lo sguardo a un gruppo molto cospicuo di testi finora trascurati, che però costituiscono il grosso dell’attività di traduzione per come siamo venuti delineandola. Mi riferisco a quei testi medievali toscani (redatti tra XII e inizio del XV secolo) che hanno avuto una redazione e/o trasmissione in più di una lingua. Si tratta di un ricchissimo corpus costituito da opere la cui data di scrittura / redazione e“traduzione” è abbastanza ravvicinata. Talefocus ha permesso notevoli guadagni sul quadro complessivo. Innanzitutto in termini di rappresentatività, perché ci obbliga a considerare, uno di fianco all’altro lo spazio della letteratura religiosa e devozionale, accanto a quella laica, annul- lando un’aporia che da più parti era stata vista negli studi sui volgarizzamenti (in particolare, di recente, da Lino Leonardi): e cioè la mancanza di approfon- dimento consentaneo dell’oceanico fenomeno dei volgarizzamenti religiosi, pur messo a disposizione degli studiosi da lungo tempo da don Giuseppe de Luca.39Scontata, ma non meno importante, è stata l’inclusione di quel pro- cesso di“volgarizzamento orizzontale”, con le parole di Folena, che deve in- durci a considerare le lingue“altre”dal latino, e in particolare il Francese, che, seppure a fasi alterne, fu in Toscana una ricca lingua di cultura, e spesso si sostituì come intermediario rispetto alla traduzione verticale (ovverosia:

testi originariamente in latino, poi scritti in francese e tradotti). In più è da rilevare che, accanto alla naturale direzione verticale latino-volgare, è solida- mente attestata la direzione inversa, dal volgare al latino, che si è rivelata ab- bastanza decisiva. Infine, è importante fare accenno qui anche a una serie di casi che potremmo definire“traduzioni istantanee”, cioè operate in un torno di anni molto ristretto: sono casi talvolta clamorosi perché intaccano il rapporto gerarchico tra le lingue ma ne mostrano quasi sempre una parità di situazione di partenza culturale: penso qui al caso delleMeditationes Vitae Christi, un testo re-

38Cornish,Vernacular Translation.

39De Luca,Scrittori di religione del Trecento; Leonardi fa riferimento a una visione più larga della traduzione inTradurre dal latino nel Medioevo italiano, p. XI.

Referenzen

ÄHNLICHE DOKUMENTE

mente elogiata in Annibale dagli scrittori d'arte del xvn secolo (e di recente anche dagli studiosi moderni), un procedimento sviluppato in germe, come

In conclusione, quindi, come possiamo valutare il contributo architettonico di Gerolamo Fontana? Senza dubbio, le due aedicule da lui progettate figg. 5,14) non testimoniano di

Questa corrente dottrinale non era estranea all’artista stesso, la qual cosa è stata conferma- ta dalle ricerche svolte da diversi studiosi che hanno il- lustrato il ruolo

Kneubühler, ingegnera delle tecnolo- gie alimentari diplomata all’ETH, sarà la nuova responsabile della ricerca per la trasformazione della carne presso l’ALP. Kneubühler

I risultati della misura strumentale del lavoro totale (→ misura della con- sistenza, fig. 2) così come la forza massima (→ misura per l’aspetto croc- cante, non

Il secondo scenario riguarda il caso in cui la decisione di disattivazione non è ancora passata in giudicato al momento dell'interruzione definitiva dell'esercizio produttivo,

Considerati i flussi di energia elettrica nel continente europeo, per garantire la sicurezza dell'approvvi- gionamento elettrico in Svizzera la capacità di importazione

Con il riorientamento della politica energetica, il Consiglio federale si è dichiarato favorevole al poten- ziamento non solo delle nuove energie rinnovabili, ma anche delle centrali