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1 La ripartizione strutturale dell’epistola

Im Dokument Le lettere di Dante (Seite 177-180)

Trasmessa da un unico codice,10Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1729, ff. 59v-60r(siglato comunemente V), l’epistola, dopo una breve rubrica riassun-tiva del contenuto, che certamente rielabora dati contenuti nellasalutationon pervenuta, parte immediatamente con la menzione del defunto: l’incipitè ap-punto «patruus vester Alexander» e risulta un po’ brusco. Generalmente, la con-suetudine più diffusa nella trattatistica retorica del periodo suddivide, in via generale, l’epistola in cinque parti, che, oltre allasalutatio, sono chiamate soli-tamenteexordium,narratio,petitioeconclusio.11Così attestano Tommaso Capu-ano nella suaarsdatabile al 1209–1210, in cui identifica l’exordiumcon la

bene-6Schaller, nellaEinführungalla ristampa anastatica (1991) dell’edizione Iselin (Iselius) di Pe-trus de Vinea,Epistolae, p. x, ipotizza anche che la divisione in sei libri possa rimandare allo schema di organizzazione di una parte delCorpus iuris canonici(i cinque libri diDecretalese Liber sextus).

7Sulla questione cfr. Lokaj,L’emergenza, pp. 1–38. Sui rapporti tra Dante e le epistole di Pier della Vigna è stata attirata l’attenzione con puntualità sin dai tempi di Baethgen,Dante und Petrus de Vinea. Sulla questione torneremo ancora nella conclusione.

8Sull’uso di questo termine cfr. Lokaj,L’emergenza, pp. 24–25.

9Cfr. Indizio,Sul mittente, pp. 198–200. Ma per un’altra ipotesi si veda Lokaj,L’emergenza, p. 18; nonché Tavoni,Le Epistole I e II. Sul contesto complessivo cfr. anche Grillo,“Universitas partis Alborum”.

10Per un quadro complessivo sulla tradizione delle epistole dantesche cfr. Montefusco,Le

“Epistole” di Dante, pp. 401–457; nonché le introduzioni di M. Baglio, L. Azzetta e A. Montefu-sco alle edizioni delle epistole dantesche (e dei loro volgarizzamenti).

11Per un quadro generale sulla questione cfr. Bognini, Delle Donne,Partes.

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volentie captatio,12 Bene Fiorentino nel suo Candelabrum, ultimato verso il 1226,13o Bono da Lucca, autore delCedrus Libani, databile agli anni Sessanta o Settanta del Duecento.14Ma generalmente si ammettono eccezioni, che riducono l’epistola anche a una sola parte.15 La conoscenza della trattatistica retorica specifica deve guidarci nella comprensione della struttura della lettera.

Nell’epistola di Dante il passaggio tra l’exordiume la narratioè effettiva-mente molto sfumato,16dal momento che non si parte dall’occasione in cui il mittente è venuto a sapere della morte del personaggio o dalla dichiarazione del dolore provato (come spesso si legge nelle epistole consolatorie), ma dall’af-fermazione che Alessandro da Romena è morto, quasi come se fosse lo stesso Dante a dare la notizia.17L’exordium, in effetti, secondo l’affermazione esplicita di Boncompagno da Signa (che nellaPalmaafferma di rifarsi alcurialis stilusin opposizione agliantiqui), può fondersi con lanarratio, consistendo anche in un proverbium, che è «brevis verborum series obscuram in se continens senten-tiam».18E nell’epistola dantesca questa funzione può essere assunta tanto dalla dichiarazione che il defunto è tornato nella patria celeste, tanto dalla menzione

12 Thomas de Capua,Ars dictaminis, p. 16: «partes autem epistole sunt quinque a veteribus definite: salutatio scilicet, exordium sive benevolentie captatio, narratio, petitio et conclusio».

13 Bene Florentinus,Candelabrum, pp. 93–94; «quidam iudicant eas [partes] quinque, scilicet salutationem, exordium, narrationem, petitionem et conclusionem».

14 Bonus Lucensis,Cedrus Libani, pp. 62–63: «epistole mediocri et perfecte quinque partes consuevimus assignare, que sunt: salutatio, exordium, narratio, petitio et conclusio». Bono da Lucca, comunque, si rifà esplicitamente agli insegnamenti dei trattati precedenti e, in partico-lare, a quelli di Boncompagno da Signa.

15 Cfr. Thomas von Capua,Ars dictaminis, par. 27, pp. 37–38, che ammette, con alcuni esempi, che l’epistola può anche essere composta di quattro, tre, due e anche una sola parte; Bene Florentinus,Candelabrum, p. 94, secondo il quale l’epistola «bene potest et plures et pauciores [partes] habere»; Bonus Lucensis,Cedrus Libani, p. 82, che, a proposito del numero delle par-tes, comincia dicendo che «rethorici certant et adhuc sub iudice lis est», ma continua affer-mando che «si epistola sit diffusa, ut multe ab imperiali curia et a sede apostolica destinate, non solum ex quinque partibus tunc constabit, sed etiam exconfutationeetconfirmatione».

16 Baglio, nella nota di commento alla sua edizione delleEpistoledi Dante, p. 73, afferma addirittura che «l’epistola inizia direttamente dallanarratio, che dura fino al par. 5».

17 Una situazione simile si riscontra, ad es., nelle epistole IV 1, 2, 4 e 6 dell’epistolario di Pier della Vigna, nelle quali è l’imperatore a comunicare la notizia.

18 LaPalma, una delle prime opere di Boncompagno di Signa, databile intorno al 1198, può essere letta in Sutter,Aus Leben, pp. 105–127; i paragrafi sull’exordiume ilproverbiumsono alle pp. 112–113. Tuttavia, già Bene Fiorentino intravedeva un vizio nella sostituzione dell’exor-diumcon ilproverbium, con il quale, per il suo carattere generalmente oscuro, «attentio nec docilitas nec benivolentia comparatur»: Bene Florentinus,Candelabrum, p. 138. Sulla contrap-posizione traantiquiemoderni, ma con connotazioni parzialmente diverse, torneremo in con-clusione.

L’epistola II: tecniche deldictamene tradizione consolatoria 169 di quello che sembra il motto contenuto nella sua insegna nobiliare («scuticam vitiorum fugatricem ostendimus»). Lanarratio, invece, è introdotta, nel par. 3,19 dalla congiunzioneergo(«Doleat ergo, doleat»), secondo le specifiche indica-zioni che soprattutto Bene Fiorentino o Guido Faba individuano come specifico nesso di passaggio.20In questo modo, dunque, risulta inadeguata la divisione in capitoli dell’epistola che viene di consueto accettata, nella quale si inizia il cap. II con il par. 4 («Sed quanquam, sensualibus amissis»), anziché 3, come sarebbe più appropriato.

Proseguendo su questa strada, sempre secondo gli insegnamenti della trat-tatistica specifica,21è inadeguata anche la coincidenza tra cap. III e par. 7 («Ego autem, preter hec»), dal momento che la petitio, ovvero la successiva parte strutturale dell’epistola, è chiaramente rinvenibile nel par. 6. Lapetitioè consi-derata imprescindibile da Boncompagno, che, nellaPalma, la definisce: «qui-dam petendi modus, per quem mittentis propositum certificatur».22 General-mente è abbastanza scarna la trattazione di questa parte, e anche Tommaso di Capua – seguito verosimilmente da Guido Faba23– si limita a darne una defini-zione: «petitio est oratio, per quam aliquid postulamus, quod sit iustum, utile et necessarium» e a spiegare che un libellus può anche consistere della sola petitio.24Anche Bene, seguito da vicino da Bono da Lucca e da Ventura da Ber-gamo,25in pochi capitoletti spiega che la «petitio est persone mittentis expres-sio, qua quid fieri vel non fieri velit convenienti affectione demostrat», delinea i modi, ovvero i verbi, con cui si chiede, elenca i nessi, le congiunzioni, gli avverbi che la uniscono con lanarratio, e i casi in cui queste due parti possono essere unite in una sola frase.26 Nell’epistola di Dante, il par. 6 si identifica

19Si fa riferimento alla divisione in paragrafi che si trova ad esempio nelle più recenti edizio-ni di Pastore Stocchi, pp. 14–17, e di Baglio, pp. 72–79. Solo la consueta divisione in 3 capitoli ha l’edizione di Villa (dalla quale si attende anche la nuova edizione critica per l’Edizione nazionale), pp. 1436–1439.

20Bene Florentinus, Candelabrum, p. 141, individua proprio in ergo (esattamente come nell’epistola dantesca), laconiunctio illativache segna il passaggio traexordiumenarratio;

Guido Faba,Summa dictaminis, par. 90, p. 348. Ma cfr. anche Thomas de Capua,Ars dictami-nis, par. 28, pp. 38–41, con simili elenchi di nessi congiuntivi, avverbiali o causali.

21Bene Florentinus,Candelabrum, pp. 146–148; Guido Faba,Summa, par. 91, p. 349.

22In Sutter,Aus Leben, p. 111.

23Cfr. Guido Faba,Summa dictaminis, par. 74, p. 332.

24Thomas de Capua,Ars dictaminis, p. 33.

25Cfr. Bonus Lucensis,Cedrus Libani, pp. 76–78, che, amplificando alcune note già presenti in Bene suimodi, specifica che i tipi dipetitiosono otto:precativa, preceptiva, hortatoria, suasoria, monitiva, minatoria, correctoriaeabsoluta. Cfr. anche Ventura, in Thomson, Murphy,

‘Dictamen’, p. 376.

26Bene Florentinus,Candelabrum, pp. 146–150.

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perfettamente con lapetitionon solo perché inizia con un nesso relativo causa-le, ma perché contiene anche un verbo di richiesta: «Quapropter, carissimi do-mini mei, supplici exhortatione vos deprecor».

Introdotta dalla congiunzioneautem,27la parte conclusiva (par. 7: «Ego au-tem, preter hec») – che sulla base di quanto precedentemente detto dovrebbe dunque costituire il cap. IV (e non più III) dell’epistola – è quella in cui Dante spiega il motivo per cui non può partecipare al funerale. Laconclusioè definita da Boncompagno, nellaPalma, «cuiuslibet tractatus seu epistole finis», con la specificazione, poi ripresa anche da Bene Fiorentino, che può essere affermati-va, negativa o dubitativa.28Tommaso di Capua, dal canto suo, scrive che «con-clusio est oratio, per quam epistola limitatur, clauditur et finitur, ostendendo quid commodi vel incommodi ex re premissa sequatur».29E Bene Fiorentino, in maniera ancora più specifica afferma che «conclusio quidem ex petitione pen-det et quantum ad sententiam et quantum ad orationis continuationem».30 Dun-que, laconclusiodell’epistola dantesca è certamente atipica, perché non risulta connessa con laconsolatio, ma richiama l’attenzione sulla condizione del mit-tente.

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