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La storia dei canoni proporzionali del corpo umano e gli sviluppi in area lombarda alla fine de Cinquecento

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LA STORIA DEI CANONI PROPORZIONALI DEL CORPO UMANO E GLI SVILUPPI IN AREA LOMBARDA

ALLA FINE DEL CINQUECENTO

Introduzione

« ... parendomi gran vergogna che l'uomo ponga tanto studio in misurar la terra, il mare et i cieli, e non sappia la misura di sé stesso»: (1) così Ludovico Dolce scriveva verso la metà del Cinquecento riassumendo uno dei temi fondamentali che ave- vano attirato l'attenzione di teorici ed artisti sin dall'antichità, ma che sembrava aver avuto uno sviluppo straordinario soprat- tutto nel Quattro e Cinquecento proprio per l'intima connes- sione che si era venuta a creare nel Rinascimento tra la conce- zione antropocentrica e l'esigenza di indagare con precisione la struttura e le misure del corpo umano.

Che la bellezza e l'armonia fossero riposte nella propor- zione era ormai un topos indagato, sviluppato e ripetuto in ma- niera quasi ossessiva in diversi trattati. Più oscillante era invece l'individuazione di un sistema proporzionale che fosse ritenuto in qualche modo «oggettivo», definitivo e in sintonia con il si- stema filosofico dell'epoca, ma che fosse nello stesso tempo anche adatto ed utilizzabile nella pratica artistica. Proprio questo duplice aspetto rende talvolta difficile distinguere l'ap- porto più propriamente teorico dallo scopo e dalle necessità artistiche più concrete.

La storia complessiva dello sviluppo dei sistemi proporzio- nali è stata parzialmente raccontata ed analizzata nei famosi

Originalveröffentlichung in: Raccolta Vinciana 25 (1993), S. 159-310

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studi di Julius Schlosser(2) e di Erwin Panofsky(3), a cui si sono aggiunti successivamente alcuni lavori di carattere gene- rale ed altri più analitici (4).

In questo studio, in particolare, si metterà in evidenza come diversi sistemi proporzionali, già parzialmente elaborati in precedenza, si siano incarnati, adattati e modificati negli studi teorici e più spiccatamente artistici che si sono concen- trati in modo specifico in area lombarda alla fine del Cinque- cento, con sviluppi anche nei primi decenni del secolo succes- sivo.

Si cercherà perciò di ripercorrere in un primo momento la storia della teoria delle proporzioni della figura umana così come si è sviluppata nel corso dei secoli, dall'antichità sino al Cinquecento. Si evidenzierà in tal senso il criterio (tra le molte- plici possibilità) adottato storicamente dagli artisti e dai teorici nei vari sistemi proporzionali per ripartire e per suddividere il corpo umano. Attraverso le differenti proposte e variazioni ela- borate nei diversi periodi sarà possibile quindi evidenziare come la teoria delle proporzioni ha assunto sia la funzione di strumento tecnico valido da utilizzare nelle botteghe degli ar- tisti, sia quella di indagine puramente conoscitiva al fine di poter giungere ad un risultato convincente dal punto di vista teorico o, ancora, quella di riuscire ad intrecciare armonica- mente l'aspetto speculativo con quello pratico.

Seguendo questo sintetico excursus storico, sarà poi possi- bile comprendere più correttamente le derivazioni, le varia- zioni e l'indirizzo intrapreso dagli artisti e dai teorici lombardi operanti appunto nella seconda metà del Cinquecento.

La storia dei canoni proporzionali

Una storia dei canoni delle proporzioni del corpo umano non può che prendere avvio dal sistema proporzionale più an- tico documentato nel campo della storia dell'arte: il canone

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 161 eg1z10, procedimento che gli artisti avevano elaborato e speri- mentato concretamente per risolvere i problemi che si presen- tavano nell'ambito della rappresentazione della figura umana.

Attraverso alcuni papiri ancora conservati e indicazioni tratte da opere non terminate, gli studiosi sono arrivati alla conclusione che l'artista egizio iniziava il suo lavoro elabo- rando un reticolo preliminare, una sorta di griglia quadrettata in base alla quale ritrovare le esatte e immutabili misure del corpo umano e quindi definire correttamente e in modo rego- lare la figura nelle differenti dimensioni utili alla rappresenta- zione, bidimensionale o tridimensionale, a seconda della tec- nica richiesta (5).

Il canone più antico utilizzato dagli artisti per circa due millenni, basato sull'unità di misura egizia detta «piccolo cu- bito» (dal gomito alla punta del pollice), prevedeva una suddi- visione della figura in 18 parti uguali, dalla base dei piedi alla sommità della fronte. La grandezza del piccolo quadrato che si veniva a creare era probabilmente basata sulla misura del

«pugno» (6).

Il canone più tardo, entrato in uso al tempo della XXVI dinastia (662-525 a.C.) e basato invece sul «cubito reale» (dal gomito sino alla punta del dito medio), presentava una griglia proporzionale divisa in 21 parti, iniziando dalla base del piede sino all'altezza dell'occhio (fig. 1)(7). Tale sistema proporzionale apparentemente analogo alla «quadrettatura», in seguito utiliz- zata dagli artisti per riportare i disegni, se ne differenzia sostan- zialmente in quanto precede e non segue il disegno da elabo- rare: esso appare come un procedimento che, nell'evitare gli aspetti illusionistici e transitori della rappresentazione, in fun- zione di un effetto di eterna immutabilità, conduce inevitabil- mente a un totale appiattimento della figura e a uno stile iera- tico privo di particolari evoluzioni (8). L'artista sapeva esatta- mente che ogni parte del corpo poteva rientrare con precisione in uno dei quadretti previsti, e ciò permetteva una certa facili- tazione nell'esecuzione e nell'elaborazione di figure ripetute

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Fig. 1 - Canonetardoanticodell'arteegizia, in E. Ivr.Rsr.N, 1955, ili. 9.

anche in modo meccanico e stereotipato con una perfetta coin- cidenza tra le proporzioni «oggettive» e quelle «tecniche» (9).

Secondo recenti ricerche, una suddivisione regolare della figura era utilizzata anche dagli artisti delle civiltà del Medio Oriente. A differenza, però, della ripartizione egizia basata pro- babilmente su un modulo «anatomico», quella degli artisti me- diorientali era supportata da un modulo «architettonico».

Questo era certamente più «astratto», proprio perché estraneo a una delle parti del corpo: venivano infatti prese in considera- zione le misure (soprattutto l'altezza) del mattone, il quale era usato frequentemente in forme diverse nei vari edifici e spesso

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 163 costituiva anche il supporto reale dell'immagine rappresen- tata (10).

Tale criterio di suddivisione è ben esemplificato da uno degli Arcieri della guardia di Dario I (521-485 a.C.) di Susa (ora al Louvre) (fig. 2) ripartito dai sottostanti mattoni in 17 · parti. Il volto, dalla linea dei capelli al mento, è ottenuto con la misura di due mattoni: ne risulta quindi che tra il volto e l'altezza del corpo, si instaura un rapporto di circa 1/9, proporzione non sempre esattamente ripresa nelle varie opere, ma comunque abbastanza frequente(11 ).

Gli artisti della civiltà classica non potevano essere soddi- sfatti di questa partizione regolare e per alcuni aspetti troppo schematica. In particolare la scultura voleva liberarsi della rigi- dità dei lavori prodotti in Oriente, sganciandosi anche dal si- stema fortemente meccanico che la precedente teoria delle proporzioni di fatto sviluppava. L'effetto di dissoluzione della rigidità e fissità ieratica (tipica della statuaria egizia e ancora presente nei lavori arcaici) che ha permesso un più libero arti- colarsi delle figure, con un'impressione di maggior naturalismo caratterizzante le opere dell'arte greca, fu ottenuto anche col proficuo apporto di un sistema proporzionale elaborato dagli artisti ellenici. Questo era basato su caratteri del tutto diffe- renti: l'antropometria greca era infatti fondata sostanzialmente su un sistema «frazionario» e «matematico» che introduceva in modo più puntuale nella teoria delle proporzoni il principio dei rapporti armonici fra le parti (12).

La testimonianza fondamentale di questa inversione di ten- denza nell'arte greca è rappresentata dal famoso canone (Kànon

= regola) elaborato da Policleto, scultore greco del V sec. a.C.

Come è noto, purtroppo a noi sono giunti solo due brevissimi frammenti del testo dell'artista e due brani indiretti riportati dal medico greco Galeno (II sec. d.C.) a cui si può probabil- mente aggiungere anche un passo di Plutarco (13 ). L'interpreta- zione di queste fonti è controversa: sebbene si sia anche par- lato di un uso da parte di Policleto di un preciso modulo per

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Fig. 2 - Ricostmzionedell'ArcierediSusa (Louvre), in G. AzARPAY, 1987, ili. 6.

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il canone, esattamente costituito dalla falangetta del dito mi- gnolo, si può ragionevolmente interpretare il suo canone (seppur in maniera ancora generica) come basato su un sistema frazionario che lo scultore greco riteneva indispensabile per la costruzione armonica della figura umana (14).

Secondo questo sistema antropometrico, infatti, non è il singolo elemento che determina la bellezza, ma un procedi- mento che, mirando all'unità attraverso il molteplice, valorizza il rapporto armonico tra le parti:

... nella proporzione di un dito rispetto all'altro, di tutte le dita ri- spetto al resto della mano, del resto della mano rispetto al polso, di questo rispetto all'avambraccio, dell'avambraccio rispetto all'intero braccio, infine di tutte le parti a tutte le altre ... (15).

Emerge chiaramente anche il nucleo fondamentale dell'estetica greca e della sua concezione matematico-propor- zionale di origine presocratica secondo cui la bellezza deriva da una precisa relazione, esprimibile in termini numerici, tra le parti con il tutto, con un sistema di corrispondenze così riassu- mibile: a:b, b:c, c:d ... ( 16), come risulta anche da un brevissimo frammento dello stesso canone: «il successo dell'opera deriva dal rispetto assoluto delle proporzioni numeriche nei minimi particolari» (17). Le relazioni numeriche individuate da Policleto (che probabilmente influirono sulla teoria pitagorica) erano strutturate in modo da essere adattabili all'età ed al sesso della figura da scolpire, ma tali da non lasciare possibilità a cambia- menti o deformazioni ottiche (18).

Il canone di Policleto è l'unico di cui abbiamo una certa documentazione, ma sicuramente altri testi dedicati all'inda- gine proporzionale - come ad esempio testimonia il passo pli- niano sulla revisione da parte di Lisippo del canone policleteo con la diminuzione proporzionale delle misure della testa - furono elaborati in seguito, soprattutto in età ellenistica (19).

Alcuni di questi perduti trattati sulle proporzioni costitui- rono certamente la fonte del canone proporzionale esposto da

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Vitruvio, un architetto romano del I sec. a.C., nel De architec- tura, un testo particolarmente importante nella cultura occiden- tale per il minuzioso recupero filologico effettuato, come ve- dremo più avanti, dai teorici e dagli artisti rinascimentali nel loro intento di riallacciare il legame con l'antichità (20).

Nel terzo dei suoi dieci libri dedicati all'architettura, Vi- truvio, compendiando alcuni perduti trattati ellenistici, intro- duce, con qualche contraddizione, l'argomento sulle regole proporzionali all'interno di un discorso specifico sulla tecnica architettonica (21 ). La bellezza è identificata con la symmetria la quale nasce dalla proportio intesa come «la commisurabilità di ogni singolo membro dell'opera e di tutti i membri nell'in- sieme dell'opera, per mezzo di una determinata unità di misura o modulo ... » (22). Vitruvio parte dal presupposto che le esatte proporzioni dei templi debbano essere necessariamente corre- late a quelle del corpo umano in una corrispondenza di misure che rappresenterà il fondamento teorico dell'architettura classi- cistica. Il corpo umano può essere inserito nella perfezione delle figure geometriche del cerchio (con il centro nell'ombe- lico) e del quadrato, come recita il testo vitruviano che diverrà celeberrimo, anche attraverso le sue illustrazioni, nella cultura occidentale:

Così, il centro del corpo è naturalmente l'ombelico; infatti se si collo- casse supino un uomo colle mani e i piedi aperti e si mettesse il centro del compasso nell'ombelico, descrivendosi una circonferenza si toccherebbero tangenzialmente le dita delle mani e dei piedi. Ma non basta: oltre lo schema del circolo, nel corpo si troverà anche la figura del quadrato. Infatti, se si misura dal piano di posa dei piedi al vertice del capo, e poi si trasporterà questa misura alle mani distese, si troverà una lunghezza uguale all'altezza, come accade nel quadrato tirato a squadra (23).

La figura umana può essere inoltre divisa esattamente in parti uguali e regolari, pur utilizzando dei diversi moduli di ri- partizione. «Corpus enim hominis - dice Vitruvio - ita na-

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 167 tura composuit»: se si applica il modulo «faccia» o «viso»

(cioè quella parte del corpo che va dal mento sino alla radice dei capelli e che è a sua volta esattamente ripartita in tre parti uguali: bocca e mento, naso, fronte) l'uomo ideale ne risulta suddiviso in 10 parti uguali. Se invece si utilizza il modulo

«testa» (cioè l'intera testa dal mento sino alla sommità del cranio) la figura viene ripartita in 8 parti. Prendendo come mo- dulo quel settore che va dalla parte superiore del petto («ab summa pectore»: clavicole) alla radice dei capelli si può suddi- videre il corpo in 6 parti (piedi)(2~). E infine con un modulo che rappresenta la distanza tra la metà del petto (<«a medio pectore»>: capezzoli) e il vertice del capo si ha un'esatta divi- sione in 4 parti (cubiti) della figura umana. Vitruvio non si sof- ferma in modo analitico sulle misure delle braccia, come verrà fatto in seguito in altri canoni, anche se in particolare definisce la misura della mano simile a quella del viso. Ma comunque le sue indicazioni su una ripartizione modulare della figura e sull'identità di misura tra le braccia distese (compreso il petto) e l'altezza dell'uomo rimarranno come fondamento per i di- versi seguenti tentativi di suddividere in parti il corpo e le braccia.

Una suddivisione non ben definita della figura umana è presente nel De Physiognomonia, un trattato di autore incerto, della metà del III secolo, derivante da un'opera precedente di Palemone, un retore dell'epoca di Adriano(25). Una ripresa in- vece per alcuni aspetti analoga alla ripartizione regolare vitru- viana, seppur in un contesto culturale del tutto diverso, viene proposta in particolare da Sant'Agostino (V secolo). Egli nel De civt'tate Dà inserisce la suddivisione proporzionale della figura in 1 O parti (con il «modulo» però dato dalla misura della pro- fondità di un corpo) e in 6 parti (con un «modulo» ottenuto con la larghezza del corpo stesso). La ripartizione è inserita solo per giustificare l'analogia tra il corpo umano e l'arca di Noè (le cui misure sono riprese da Genesi: 6, 15). L'arca ha in- fatti - secondo Agostino - i medesimi rapporti proporzionali

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di un corpo umano in quanto è allegoria di Gesù (e quindi della Chiesa) il quale ha salvato l'umanità mediante il legno della croce (come l'arca lignea ha salvato Noè) e incarnandosi ha assunto proprio le sembianze di un vero corpo umano:

Le misure stesse della lunghezza altezza e larghezza dell'arca simbo- leggiano il corpo umano ... Difatti la lunghezza [altezza] del corpo umano dalla sommità della testa ai piedi è sei volte la larghezza da un fianco all'altro e dieci volte l'altezza [profondità], la cui misura si ha nel fianco dal dorso all'addome.

Questa anomala misurazione del corpo in lunghezza, lar- ghezza, altezza, con un uso dei termini in modo discordante dalla norma, deriva quindi dal fatto che Agostino, parago- nando le misure del corpo umano a quelle dell'arca di Noè, immagina il corpo umano come un parallelepipedo che ha delle proporzioni analoghe a quelle dell'arca: «Per questo ap- punto è stata costruita l'arca di trecento cubiti in lunghezza, cinquanta in larghezza e trenta in altezza.» (26).

La precisione teorica e pratica dei sistemi proporzionali di età classica viene sostanzialmente a mancare, forse anche per la perdita di alcune fonti, in epoca medievale, sebbene siano do- cumentate alcune differenti testimonianze che ripropongono il tema dei rapporti proporzionali della figura umana. Tali inda- gini antropometriche sono state sviluppate parallelamente all'interesse per il procedimento architettonico della «quadra- tura». Questa ricerca di proporzioni architettoniche era inse- rita, nella cultura medievale, in un contesto di approfondi- mento di origine neoplatonica - alimentato dal Timeo di Pla- tone e dai testi di S. Agostino, Boezio, Cassiodoro - teso ad evidenziare la bellezza dei rapporti musicali in quanto basati su consonanze armoniche e quindi proporzionali e in quanto riflesso di un ordine divino indagato dalla speculazione filoso- fico-teologica (27).

Sarebbe però semplicistico ricercare un'unità caratteriz-

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 169 zante in tutte le fonti a noi note per ricondurle ad un «canone medievale». Si possono invece individuare diversi filoni che in maniera più o meno marcata hanno contraddistinto alcuni mo- menti della cultura medievale e che sono il risultato di diverse tendenze ed interessi che riflettono in maniera non necessaria- mente meccanica gli stili dell'arte medievale.

Vedremo infatti le diverse tipologie proporzionali elaborate durante il Medioevo analizzando: la tradizione pseudo-varro- niana o italo-bizantino-veneta documentata in particolare alla fine del Trecento, ma certamente più antica; gli schemi bizanti- neggianti di costruzione della testa; il persistere in sordina della tradizione vitruviana; lo schematismo pratico-geometriz- zante delle botteghe d'età gotica.

Alcuni indizi ci permettono di ipotizzare problematica- mente già in epoca alto-medievale, derivante forse da una tra- dizione ellenistica (anche se la prima testimonianza risale, come vedremo più avanti, al testo del Cennini), un vero e pro- prio sistema proporzionale con caratteristiche precise che lo differenziano anche da quello di Vitruvio. Questa alternativa al sistema vitruviano è stata definita come canone proporzionale pseudo-varronzano o, più raramente, italo- bizantino(28).

Il primo termine è giustificato dal fatto che l'umanista fran- cese Guillaume Philandrier (italianizzato in Guglielmo Fi- landra), nel suo commento cinquecentesco al testo di Vitruvio, gli contrappone appunto questo diverso sistema (di 9 teste e 1/3) le cui origini vengono da lui fatte risalire a Varrone, seb- bene la moderna filologia non possa accertare quale parte abbia avuto lo scrittore latino nella definizione di tale canone (fig. 3-A) (29):

Non defuerunt qui in novem partes et unius tertiam hominis corpus partientes (cuius rei laudant autorem Varronem) constituant partem unam à mento ad radices imas capillorum, duas à summo pectore ad umbilicum, ab hoc ad genitalia unam, ab istis per femora ad genu duas, infra genu per tibias ad malleolos duas. Rursus unius tertiam à radicibus capillorum ad verticem statuunt, tantundem à mento ad

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summam pectus, epigonatidi sive mylae, quae iuncturam femoris et ti-

bia e operit tantundem tribuunt à malleolis ad plantam pedis tan- tundem ... [il corsivo è mio] (30).

Come si evince chiaramente anche da questo commento cinquecentesco il canone pseudo-varroniano sostituisce la ri- partizione regolare della figura del sistema vitruviano, nei con- fronti del quale si porrà sostanzialmente come alternativa, con una suddivisione irregolare e maggiormente funzionale alle aspettative tecnico-pratiche. Esso si differenzia infatti dal ca- none vitruviano per il fatto che la figura, pur essendo suddi- visa in base ad un modulo prestabilito, presenta dei sottomo- duli che individuano alcune specifiche parti del corpo e che vengono sommati tra loro per raggiungere l'unità del modulo nel conteggio globale. L'effetto che risulta è quindi quello di una certa irregolarità nella ripartizione totale della figura. Il modulo-base ancora utilizzato rimane la «faccia», dal mento alla radice dei capelli (anche se spesso chiamata impropria- mente «testa»), la quale solitamente suddivide il corpo in nove parti, tenendo però conto che otto di questi sono moduli in- teri, mentre il nono deriva dalla somma dei sottomoduli che si riferiscono a settori specifici del corpo: alla parte al di sopra della radice dei capelli, al collo, al ginocchio e al piede, o, nel caso del braccio, forse al gomito.

È molto probabile che questa suddivisione della figura rientrasse più propriamente nelle conoscenze e nella cultura artigianale delle botteghe d'arte medievali. Si può spiegare in tal modo la seconda definizione: il medesimo canone (presen- tato però come di 9 facce) è inserito infatti nel manuale per i pittori del Monte Athos, stilato da un redattore monastico di nome Dionisio da Furnà, un manoscritto ora fatto risalire verso il 1730-34, ma che sembra raccogliere indicazioni e pre- scrizioni artigianali di tutta la tradizione bizantina o più preci- samente greco-veneta e quindi probabilmente indicativo del suo utilizzo già in età medievale (fig. 3-B) (31):

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Sappi, o scolaro, che al naturale tutto l'uomo è nove uova, cioè nove misure, dalla fronte fino alla pianta del piede. E dapprima fai il primo uovo [aughe] che dividerai in tre, e disegna prima la fronte, poi il naso e, terza, la barba; i capelli invece falli al di fuori dell'uovo un naso di nuovo misura dalla barba fino al naso tre misure; ed alla di- stanza di due misure fai il mento, dopo una, la bocca, il collo invece si fa lungo quanto un naso. Poi misura dal mento [collo?] fino alla vita tre misure e fino al ginocchio altre due ed al ginocchio togli la misura di un naso; ancora altre due misure fino al tallone, da lì fino alla pianta del piede un naso e da lì fino alle unghie una misura e dalla gola di nuovo fino all'omero una misura; lo stesso anche per l'altra spalla. Alla rotondità della spalla togli un naso e misura fino al gomito dalla parte interna una misura e poi un'altra fino alla pelle della mano; da là poi fino all'estremità delle dita una misura. Quanto è un occhio, tanto è l'altro in linea retta; egualmente tanto è distante l'uno dall'altro. E quando la testa è di profilo, ci vogliono dall'occhio all'orecchio la misura di due occhi; quando invece è di fronte ci vuole un occhio; l'orecchio deve essere come il naso; la vita quattro nasi di larghezza, quando è nudo, e, quando è vestito, un uovo e mezzo; la cintura deve essere alla vita, là dove giunge il gomito (32).

Occorre mettere in evidenza che al canone descritto in questo testo, a rigore, andrebbe attribuito il valore oggettivo di 9 facce e 1/3 (quindi coincidente con quello pseudo-varro- niano) anche se lo stesso Dionisio definisce il sistema come di nove misure, nonostante aggiunga la parte per la sommità del capo. Svista che probabilmente ha dato origine ad un diverso conteggio anche nelle varianti di questo canone. Nella cita- zione è presente inoltre un accenno, che diverrà patrimonio comune, sulla larghezza delle spalle individuata in 2 facce, e un riferimento, meno comune, alla larghezza della «vita» in 4

«nasi». Il braccio sino alla punta delle dita è diviso in 3 misure a partire, forse, da 1/3 al di sotto della spalla («Alla rotondità della spalla togli un naso»)(33).

Una fonte utilizzata da Dionisio da Furnà, databile verso la fine del Cinquecento, ma comunque risalente ad epoca ante- riore, propone un differente canone molto più particolareg-

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 173 giato e didattico, di cui però in seguito non si avrà più traccia:

presenta la figura divisa in 7 teste (non facce), ciascuna delle quali divisa in 4 «nasi», un modulo che viene ripetuto in questo sistema proporzionale in modo da inglobare anche quelle parti che nel canone di Dionisio erano presentate come sottomoduli (34).

Difficile comunque dire quanto realmente tali regole pro- porzionali fossero studiate ed effettivamente usate dagli icono- grafi bizantini, se è vero che un confronto tra diversi dipinti bi- zantini fa emergere piuttosto una certa disomogeneità nelle fi- gure nel rapporto proporzionale tra testa e resto del corpo (35).

Rimane comunque da chiarire la genesi e le possibili dira- mazioni del canone proporzionale pseudo-varroniano o italo- bizantino. Secondo Panofsky questo sistema ha avuto origine in Oriente, probabilmente attraverso una tradizione che non ri- sale comunque oltre il tardo ellenismo. A supporto di tale tesi, lo studioso, appunto, ha ritenuto di poter individuare in un trattato di musica dei Fratelli della Purezza, una confraternita di filosofi arabi del IX-X secolo, la fonte più antica accertabile di questa suddivisione proporzionale. I filosofi arabi, in un contesto cosmologico-musicale, rapportando le perfette propor- zioni delle lettere dell'alfabeto a quelle del neonato, cioè dell'uomo nuovo, abbozzano infatti una ripartizione proporzio- nale, quasi certamente di derivazione ellenistica, in cui prevale la divisione in 8 facce con l'individuazione di alcuni settori specifici del corpo, che può essere avvicinata, anche se proble- maticamente, al canone pseudo-varroniano (36).

È possibile però risalire con più precisione a epoche ante- riori e individuare in area indiana, già a partire dal VI secolo d.C., l'utilizzo di un canone pseudo-varroniano con suddivi- sione irregolare della figura (fig. 4). I sistemi proporzionali in- diani adottano ampiamente e con puntuale minuziosità un ca- none di 9 facce e 1/3 (Tdla = una faccia/modulo) ottenute esattamente con i quattro sottomoduli (Bhdga = 1/3 del mo- dulo) che individuano la sommità del capo (1/3), il collo (1/3),

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Fig. 4 - Canone proporzionale indiano, in H. Run1us, 1973a, p. 76.

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il ginocchio (1/3) ed il piede (1/3), e rivelano un'impressio- nante identità con il canone pseudo-varroniano o italo-bizan- tino (37).

La insolita ed ampia diffusione di questo canone con sotto- moduli ripropone quindi l'interrogativo sulla sua origine: il si- stema pseudo-varroniano è stato elaborato in un luogo ed in un momento preciso e poi diffuso in altre aree, oppure - evento altamente improbabile - si è sviluppato in maniera au- tonoma sia in Oriente che in Occidente? Nel caso della prima ipotesi, la sua formazione è avvenuta in area indiana, come è stato sostenuto recentemente dal Ruelius (38), o deriva da una modificazione ed adattamento del tardo canone egizio, come ha cercato di dimostrare il Torp? (39). O ancora, è possibile che si sia sviluppato in Occidente come alternativa o come va- riante del canone vitruviano?

È ovviamente difficile dare una risposta esauriente a queste domande per la mancanza di fonti precise. Ma anche se il riferimento cinquecentesco a Varrone potrà risultare palese- mente infondato, credo che non debba essere scartata del tutto l'ipotesi - non ancora accertabile - di una elaborazione di questa regola nelle botteghe artistiche del periodo ellenistico come alternativa, o in qualche modo come variante, del ca- none poi codificato da Vitruvio, più legato a problemi architet- tonici. Il sistema pseudo-varroniano, diffuso in epoca elleni- stica o al tempo dell'espansione romana in Oriente, andò pro- babilmente a formare sia la tradizione proporzionale indiana e araba che quella bizantina, attraverso la quale è poi quasi cer- tamente ritornato in Italia, come si vedrà più avanti, a causa dell'influsso che ha avuto sui pittori italiani (40).

Al di fuori di questo canone è possibile invece individuare nell'ambito dello stile bizantino, con maggior riscontri nella pratica artistica, seppur ancora con qualche incertezza in or- dine al suo sviluppo temporale, un diverso sistema proporzio- nale definito come «schema dei tre cerchi» e specificatamente utilizzato come procedimento tecnico dagli iconografi bizantini

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per la costruzione della sola testa (con aureola) dei vari perso- naggi (fig. 5) (41 ). Seppur non documentata dalle fonti, questa procedura può essere individuata concretamente in alcune icone: consiste nell'elaborare la testa frontale di una figura at- traverso una sovrapposizione di tre cerchi concentrici aventi lo stesso centro. Il più piccolo ha come raggio la lunghezza del naso e come centro la radice di questo e contiene la fronte, il naso e gli occhi; il secondo con un raggio doppio va a formare la struttura del cranio e dei capelli sino al mento, mentre il

Fig. 5 - «Schema dei tre cerchi» dell'arte bizantina, in E. PANOFSKY, 1921, p. 83.

terzo cerchio (non sempre presente), con un raggio di tre nasi, delimita l'ampiezza dell'aureola. Ne risulta tutto sommato una tripartizione del volto che è essenzialmente identica a quella descritta dal canone vitruviano e da quello pseudo-varroniano.

La testa vista di tre quarti pur presentando la stessa schematiz- zazione è basata invece su una variante di tale griglia che per- mette - pur nell'ambito di una concezione «planimetrica»

dell'arte bizantina - una migliore definizione dello scorcio del volto. E in effetti questo procedimento poteva essere praticato solo da artisti il cui scopo era la rappresentazione di figure ie- ratiche, fisse, immobili e in qualche modo appiattite (-12).

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 177 Contemporaneo a tale procedimento, ma sganciato dalle problematiche artistiche e relegato nell'ambito di un interesse solo di origine teorico-filosofica e per alcuni aspetti cosmolo- gico-simbolica, è il persistere sotterraneo durante il Medioevo di alcuni nuclei del sistema proporzionale vitruviano.

Il testo di Vitruvio, infatti, seppur poco compreso e mal in- terpretato, era noto pure nel Medioevo, attraverso brani ripor- tati in altri scritti, in alcune sintesi come quella di Paventino (III secolo) o tramite diverse copie manoscritte sparse in tutta Europa (43).

In particolare il riferimento vitruviano alle proporzioni del corpo umano, e quindi alla scansione regolare della figura, o comunque un accenno all'insegnamento dell'architetto latino, si può ritrovare in alcuni specifici testi medievali. È probabil- mente un riferimento ai quattro cubiti proporzionali vitruviani quello inserito nel primo capitolo della Mappae Clavicula, un testo (di cui sono rimasti manoscritti dal VII al XII secolo) che, nel raccogliere la tecnica tardoantico-bizantina attraverso anche i lavori di Paventino e di Palladio, istituisce un rapporto tra un edificio e la sue fondamenta, prendendo appunto come indicazioni proporzionali alcune ripartizioni del corpo umano il quale è suddiviso a livello del ginocchio (ad geniculum), dei genitali (ad bz/urcum) e dei capezzoli (ad didam). Se ad esempio - sostiene l'anonimo autore - un edificio è alto tre volte l'al- tezza di un uomo, le fondamenta necessarie dovranno essere della misura umana compresa dei piedi sino ai genitali (4-1).

Tracce del testo di Vitruvio si trovano anche in uno scritto anonimo della metà del X secolo (45); nei versi del poeta Theo- derich di S. Trond (verso il 1100) ('16); e in un testo di Guil- laume de Saint-Thierry (1100 ca - prima del 1153) che si li- mita a presentare l'homo ad circulum(47 ).

Un riferimento alle misure antropometriche vitruviane, seppur sviluppato in tutt'altra direzione, emerge negli impor- tanti scritti della monaca santa Hildegarda di Bingen (1098- 1179), la quale nel suo Liber divinorum operum(48 ), elabora, at-

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178 Raccolta Vinciana

tingendo alla cultura antica ed alla tradizione cristiana, una mi- stica delle proporzioni basata sul parallelismo tra la stuttura del corpo umano e l'armonia della creazione: è il motivo di origine greca della corrispondenza, che aveva affascinato la cul- tura medievale, tra microcosmo e macrocosmo, ben semplifi- cato da un passo di Macrobio (IV-V secolo) secondo cui il cosmo è come un grande uomo e l'uomo come un piccolo cosmo('19).

Hildegarda, in particolare, sembra rifarsi al testo vitruviano quando scrive che «Nam longitudo staturae hominis latitu- doque ipsius, brachiis et manibus aequaliter a pectore extensis, aequales sunt» aggiungendo però «quemadmodum etiam firma- mentum aequalem longitudinem et latitudinem habet» (50). Rie- cheggiano le parole di Vitruvio anche nel passo in cui si af- ferma che la testa può essere divisa in tre parti uguali: «In ca- pite quoque hominis tria superiora elementa designata sunt» (51 ), anche qui però con un riferimento, estraneo all'archi- tetto romano, alle tre parti del firmamento superiore: fronte (fuoco), naso (etere), bocca e mento (aere).

In alcune frasi, Hildegarda invece accenna ad altre rela- zioni tra membra del corpo e struttura dell'universo. Ad esempio la santa divide la testa e il busto in tre settori uguali:

«Et a vertice capitis hominis usque ad finem gutturis ejus, et ab eodem fine gutturis usque ad umbilicum ipsius, et ab umbi- lico usque ad locum egestionis, aequalis mensura est...» (52), svi- luppando un parallelismo con la tripartizione delle sfere celesti e le tre età dell'uomo. Oppure la monaca divide in due parti uguali gli arti inferiori: «A genibus vero usque ad talum eadem mensura est guae a loco egestionis seu a femore usque ad genu existi t.» (53).

È possibile quindi nel complesso ricavare dai diversi passi della santa un coerente sistema proporzionale sganciato da quello vitruviano e quello pseudo-varroniano (fig. 6) (54). Hilde- garda sostituisce la divisione vitruviana della figura in quattro parti uguali con una ripartizione dalla quale risulta l'uomo

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 179

Fig. 6 - Ricostruzione de! sistema proporzionale di Hi!degarda di Bingen, in M. M. D,wY, 1955, p. 111.

«pentagonale», cioè l'uomo esattamente suddiviso in 5 quadrati dalla sommità della testa ai piedi ed in altrettanti 5 da una mano all'altra (55 ), con un preciso riferimento al numero cinque, denso di arcane corrispondenze nell'ambito della cultura me- dievale e capace di riassumere la perfezione estetica con quella simbolica (56).

Le indicazioni proporzionali di Vitruvio vengono riprese sinteticamente anche da Vincenzo di Beauvais (1194-1264) il quale appunto si limita a riproporre la proporzione ideale come quella dell'uomo diviso in 10 facce: «Corpus hominis ita natura composuit, ut os capitis à mento ad summam frontem

& radices imas ca pilli esset decimae partis.» (5 7). Un altro possi- bile riferimento ali' homo ad circulum vitruviano si può rintrac- ciare in un passo del filosofo-teologo Alberto Magno (1200- 1280 ca) (58).

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180 Raccolta Vinciana

È forse nella tradizione vitruviana anche la ripartizione re- golare in 10 facce - probabilmente utilizzata, come è stato supposto, da Cimabue nel suo Crocifisso di Arezzo - e inserita nel testo di Ristoro d'Arezzo nel 1282:

E li savi disegnatori, alli quali fu dato e conceduto dalla natura a di- visare e a disegnare le cose del mondo, quando venieno a disegnare la figura dell'uomo, dividevano lo spazio per diece parti iguali; e della parte di sopra facieno lo viso, e da indi in giù rimanea nove cotanto;

e per lo viso proporzionavano le mani, e li piedi, e lo petto e tutto lo corpo; e dal viso in giù rimanea nove parti iguali: sì che la figura ri- manea dieci parti iguali. Ed era veduto e conosciuto da loro la forma della figura bene proporzionata e perfetta: e questo addivenia per la nobilità della immaginazione e dell'anima intellettiva, la quale fu fon- data nell'uomo. E la parte di sopra, come lo capo, per intendere le cose del mondo e per quella nobilità, fu più nobile e fu tenuto più caro, e per la sua nobilità fu proporzionato e partito per lo maggior numero perfetto, come dieci; e imperciò ne risultava più bella figura;

e se'! partieno per lo minore numero perfetto, come sei, diventa vano; imperciò che '[ numero l'abbassava giù e volealo reducere alla figura ritonda (59).

Mentre le precedenti dotte citazioni del testo vitruviano, riprese negli scriptorzà medievali, sono chiaramente sganciate dai loro originali presupposti sviluppati dalla cultura classica e sono indirizzate a fini non propriamente artistici - come ad esempio la citazione dell'uomo vitruviano inserita in un ano- nimo dialogo francese del 1300 circa (60) - la testimonianza di Ristoro d'Arezzo è particolarmente importante in quanto è probabilmente l'unica documentata in età medievale che col- lega la ripartizione di origine vitruviana a problemi e finalità ti- pici della ricerca artistica, anche se nel testo non mancano ri- flessi speculativi nell'accenno, ad esempio, alla valorizzazione del numero dieci come via privilegiata verso la perfezione.

Contemporaneamente in altre botteghe, gli artisti, preoccu- pati di risolvere aspetti pratici, avevano indirizzato la loro at- tenzione non tanto verso un vero e proprio canone proporzio-

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 181 nale, quanto verso la ricerca di un procedimento che nell'in- staurare una relazione di rapporti di proporzioni sfociasse so- stanzialmente in un sistema di semplificazione formale e di schematizzazione non solo della figura umana, ma anche di ogni animale o oggetto presente nella realtà.

Un esempio particolarmente suggestivo dell'uso di questi

«schemi geometrici», certamente più vari e costruttivi dello

«schema dei tre cerchi» di cultura bizantineggiante, si può tro- vare in alcuni fogli presenti nel taccuino dell'architetto Villard de Honnecourt, un artista francese attivo all'inizio del Due- cento (61 ). Il taccuino presenta una serie di disegni di vario ar- gomento che l'architetto ha raccolto - probabilmente ripren- dendoli da diverse botteghe - con lo scopo di fornire un vasto repertorio di immagini da utilizzare con i dovuti adatta- menti nei lavori che di volta in volta venivano richiesti agli ar- tisti nei differenti cantieri gotici.

Alcuni di questi fogli sono appositamente dedicati - come dice un~ delle iscrizioni - al «metodo per rappresentare le figure» (62). E evidentemente una proposta didattica e norma- tiva che fornisce un sistema di approccio alla costruzione sem- plificata del disegno attraverso un linguaggio intelligibile. Le fi- gure sono infatti tracciate in base ad una griglia geometrizzante che ne facilita in qualche modo l'esecuzione, permettendo un coordinamento proporzionale e inorganico tra le varie parti. La figura umana è, ad esempio, spesso elaborata con una sovrap- posizione o accostamento di triangoli (fig. 7), il volto umano è costruito, a seconda delle esigenze, con un cerchio, con uno o

~iù triangoli, con una forma stellare o con un quadrato tripar- t1_to (9:uest'ultimo secondo una divisione certamente di origine v1truviana). Una pecora è delimitata da una intelaiatura co- st~uita da tre figure geometriche: un rettangolo per il corpo, un triangolo per il collo ed un altro triangolo più piccolo per il

~uso; un'aquila è inscritta in una figura a stella, mentre parte d, una mano è facilmente assimilabile ad un rettangolo e così via.

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182 Raccolta Vinciana

Fig. 7 - Villard de Honnecourt, Ruota della fortuna, Parigi, Biblioteca Nazio- nale, Fondo francese 19093, f. 21v.

L'artista con questo sistema era notevolmente facilitato perché la complessità della figura era ridotta nella sua struttura generale ad elementi geometrici facilmente maneggiabili e pro- porzionalmente definiti per le diverse esigenze, come è evi- dente anche da una scritta posta su uno di questi fogli:

Qui, comincia il metodo per disegnare le figure come l'insegna l'arte della geometria, così da lavorare con facilità (6>).

Altri espedienti tecnico-artistici, rivolti e indirizzati dal

«maestro» all'«allievo» pittore, sono presenti anche nel Libro d'arte di Cennino Cennini - un pittore attivo tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento, allievo di Agnolo

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 183 Gaddi il cui maestro Taddeo Gaddi era stato a sua volta al- lievo di Giotto - che probabilmente alla fine del Trecento raccoglie meticolose prescrizioni artigianali, anche di origine bizantina, relative alle molteplici tecniche e alle attività che do- vevano essere padroneggiate da un artista nella propria bot- tega (64). Proprio in una parte del testo del Cennini ricompare in maniera precisa, come si è già sottolineato, la descrizione del canone pseudo-varroniano o italo-bizantino il quale faceva parte di una tradizione sfociata nel manuale del Monte Athos e che sarà riproposta e sviscerata nelle sue diverse varianti so- prattutto nel corso del Quattrocento (65).

Il Cennini, sottolineando inizialmente che il viso deve es- sere ripartito in tre parti uguali (66), sollecita il giovane pittore a fare «tutto l'uomo lungo otto visi e due delle tre misure», con una suddivisione della figura quindi di 8 facce e 2/3, preve- dendo cioè oltre agli otto moduli regolari l'aggiunta dei due sottomoduli rappresentati dallo spazio «dal mento sotto il gozzo al trovare della gola» e «dal tallone alla pianta» (fig. 3-C).

Egli è anche interessato a formulare un'esatta regola sulla lun- ghezza del braccio: «dall'omero al gomito, un viso: dal gomito al nodo della mano, un viso ed una delle tre misure: la mano tutta per lunghezza, un viso ... » (67).

Quel che nel Medioevo sembravano due filoni nettamente distinti e separati - da una parte l'indirizzo puramente teorico con riprese del testo vitruviano e soprattutto dell'indagine e della speculazione filosofico-teologica, e dall'altra l'aspetto pro- porzionale più normativo, empirico e geometrico-tecnico - vengono sostanzialmente fusi durante il Rinascimento. Gli ar- tisti/teorici rinascimentali infatti hanno manifestato nei con- fronti del problema proporzionale un' «infinita reverenza», in- dagandone gli aspetti pratici e tecnici nell'ambito di una pro- blematica filosofico-metafisica fondata su un antropocentrismo assoluto (68).

Avevano certamente contribuito a questa attenzione per la teoria proporzionale alcuni fattori: la passione umanistica per

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184 Raccolta Vinciana

un recupero filologico del testo vitruviano; l'interesse pratico degli artisti per uno studio corretto (attraverso lo studio antro- pometrico) dell'anatomia umana, in funzione di un maggior na- turalismo nella rappresentazione; l'intensa volontà speculativa anche da parte degli artisti i quali inglobavano ogni ricerca tec- nico-pratica all'interno di una problematica teorica e filosofica più ampia.

Sarebbe però riduttivo pensare, secondo cliché storiografici troppo rigidi, al passaggio tra Medioevo e Rinascimento come ad un cambiamento improvviso di paradigma anche nel campo delle proporzioni antropomorfiche. La volontà di abbandonare lo schematismo medievale per un maggior rigore speculativo non si riscontra infatti in maniera omogenea nei teorici e negli artisti rinascimentali che si sono occupati della teoria delle proporzioni. Anzi, seppur all'interno di un generale interesse per il «canone» proporzionale, indagato con l'intento di perse- guire e di raggiungere una più raffinata simmetria e armonia nella rappresentazione del corpo umano, si noteranno anche alcune discordanze nella scelta del canone e nella maggiore o minore accentuazione dell'aspetto artistico rispetto a quello fi- losofico.

Un legame con la cultura artistica medievale si percepisce ancora, ad esempio, nella figura proporzionata posta nel trat- tato De ingeneis (1427-53) elaborato da Mariano di Jacopo da Siena detto il Taccola (fig. 8). Il disegno dell'artista senese pre- senta nella parte superiore un compasso, un filo a piombo e una squadra, strumenti che richiamano quegli aspetti tecnico- artigianali e ingegneristici tipici dell'architetto medievale, quasi a dimostrare la possibilità di poter costruire la figura del corpo umano secondo gli analoghi procedimenti utilizzati per indivi- duare le proporzioni degli edifici. L'uomo, visto frontalmente con le braccia distese lungo il corpo, è inserito in un cerchio, in un quadrato e in un triangolo, secondo una struttura che, ri- prendendo anche la teoria vitruviana, si riallaccia alla cosmo- logia medievale dell'uomo come microcosmo. Il quadrato è in-

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 185

Fig. 8 - M. Taccola, Figura maschile con misure, Monaco, Staatsbibliothek, Cod.

Lat. 197, II, f. 36v.

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186 Raccolta Vinciana

serito nel cerchio secondo il principio architettonico medievale della «quadratura». Alcune linee rette e semicircolari defini- scono una suddivisione proporzionale (un po' incerta) della fi- gura in 8 teste (forse 9, compresi i piedi?) anche se questa ri- partizione, in realtà, appare strana in quanto una di queste parti indica i piedi in altezza, come se la figura fosse in punta di piedi in base ancora ad una convenzione di origine medie- vale-bizantina (69).

Un posto di particolare importanza nella teoria delle pro- porzioni umane nel Rinascimento è da attribuire invece a Leon Battista Alberti. Non solo perché si è occupato ampia- mente del problema, ma soprattutto perché - rispetto ad altri artisti che, come vedremo, hanno in qualche modo sviluppato dei sistemi proporzionali rifacendosi ad esperienze precedenti, con varianti, aggiunte ed integrazioni - egli perviene nel De statua, scritto probabilmente tra il 1443 e il 1452, ad un ca- none proporzionale del tutto originale e insolito (almeno per quanto ci è noto){7°). Viene infatti utilizzata una suddivisione regolare abbastanza diversa e difforme rispetto a quella vitru- viana (seppure forse parzialmente derivante da questa per la scansione in sei parti) e a quella pseudo-varroniana (71).

L'Alberti aveva già affrontato di sfuggita il problema delle proporzioni del corpo umano nel De pictura del 1435. Nel primo libro del trattato egli si limita a dividere «la lunghezza di questo huomo in tre parti, quali amme ciascuna sia propor- tionale ad quella misura si chiama braccio» (72), con una sempli- ficazione che é stata giustamente interpretata come un indizio di una datazione precedente del De pictura rispetto al De statua(73), anche perché, in un passo successivo, l' Al berti, ci- tando Vitruvio, sembra ancora rifiutare la suddivisione in piedi a favore del più tradizionale modulo di ripartizione costituito dal «capo» (74).

Nel De statua l'Alberti è particolarmente rivolto ai pro- blemi tecnici, pratici ed artigianali inerenti alla scultura. Si di- lunga analiticamente sulla tecnica del lavoro scultoreo «con il

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 187 levar via» e sul sistema da utilizzare per riportare esattamente la figura dal modello al lavoro definitivo in marmo mediante uno strumento circolare graduato da lui chiamato «diffinitore»

(/initorium) da posizionare sopra la testa della statua e dal

quale deve pendere, anche attraverso un regolo orizzontale, un filo a piombo utile per individuare i punti del corpo che inte- ressano per la replica del modello (fig. 9) (75).

Proprio nel contesto di questi ragionamenti, l'Alberti si sente in dovere di proporre allo scultore un sistema proporzio- nale e di misurazione del corpo umano. Suggerisce di costruire uno strumento, una sorta di «regolo» (regula) diviso in sei parti che egli chiama «modine del piede» (exempeda) che deve essere della stessa lunghezza della figura da misurare (76).

Il modine va diviso esattamente in 6 parti chiamate

«piedi»; ciascun piede è poi diviso in 10 «once» (o «gradi») e ciascuna oncia a sua volta è ripartita in 10 «minuti»: «Da queste divisioni ci avverrà - riassume l'Alberti - che tutto il modine sarà di sei piedi, e questi piedi saranno 600. minuti, e ciascun piede solo sarà 100. minuti.>>

Con questo sistema graduale l'architetto-teorico, dopo aver

«fatto comparazione, e lasciati da parte gli eccessi degli estremi» tenta di definire non tanto l'uomo qualunque, quanto l'uomo come espressione della «esatta bellezza», cioè l'uomo ideale a cui aspirava tutta la cultura rinascimentale (77 ).

Il suo modine (usato quasi come un moderno metro) gli permette di determinare le molteplici misure in altezza, in lar- ghezza ed in «profondità» del corpo umano, come si vede in un disegno di un manoscritto della fine del XV secolo che ri- porta il testo dell'Alberti (fig. 10). Così, ad esempio, «La altezza sino all'angolo più alto della spalla» risulta, secondo l'Alberti, di 5 piedi, 1 grado e 8 minuti; oppure «La maggior larghezza del piede» è di O piedi, 4 gradi e 2 minuti, o ancora: «La mag- gior grossezza nella coscia» misura O piedi, 6 gradi, O mi- nuti (78).

La divisione albertiana del modine in 6 parti da applicare

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188 Raccolta Vinciana

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Fig. 9 - B. Ghiberti, Figura umana con il <</initorium» albertiano, Firenze, Biblio- teca Nazionale, BR 228, f. 36v.

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Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 189

Fig. 1 O · Anonimo, Figura umana con indicazioni proporzionali di L. B. Alberi~

Oxford, Bodleian Library, MS. Canon. Mise. 172, f. 232v.

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190 Raccolta Vinciana

alla figura umana è certamente in qualche modo derivante dal sistema di Vitruvio (che l'artista aveva dimostrato di conoscere nel De pictura), anche se l'impalcatura, il procedimento, gli obiettivi ed il risultato di questo metodo differiscono notevol- mente dai principi vitruviani (ì9).

Il metodo proposto dall'Alberti assume una valenza anche pratico-artigianale in quanto egli suggerisce allo scultore non solo la possibilità di usare il modine per misurare la realtà, ma anche di utilizzarlo per ingrandire una statua: se si usa un mo- dine della stessa altezza di una particolare statua ed un altro della grandezza della scultura che si vorrebbe ingrandire si possono utilizzare le grandezze del primo modine e rapportarle a quelle del secondo per elaborare una statua più grande della prima, ma di simili rapporti proporzionali. In sostanza l'Alberti sviluppa nel suo trattato un sistema proporzionale che è anche nello stesso tempo, se non in prevalenza, un metodo «ogget- tivo» di misurazione della figura umana (80).

In un testo contemporaneo alle ricerche dell'Alberti ven- gono ripresi invece i principi del canone pseudo-varroniano già visti nel trattato del Cennini, inaugurando un filone di varianti, con una combinazione diversa dei sottomoduli, particolar- mente indagato e sviluppato nel corso del Quattrocento. Il testo in questione, non specificatamente dedicato ai problemi artistici, ma a quelli medico-magici, è il trattato scritto da Mi- chele Savonarola (nonno di Gerolamo) verso la metà del Quat- trocento (probabilmente nel 1442) e intitolato Speculum phisio- gnomiae(81). Il Savonarola inserisce la parte relativa alle propor- zioni del corpo umano all'interno di un complesso discorso de- dicato alla fisiognomia, cioè al metodo in base al quale si rite- neva di poter individuare il carattere di una persona attraverso la forma e le caratteristiche del suo corpo. Riprendendo proba- bilmente delle fonti artistiche contemporanee, egli ritiene che la figura umana debba essere divisa in 9 teste (in realtà facce), l'ultima delle quali formata dalle parti minori del collo, del gi- nocchio e del piede (fig. 3-D):

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 191 Longitudo autem hominis tocius mediocris ut experiencia et natura ipsa edocuit novem est testarum per testam spacium intelligendo quod est a comissura coronali usque ad mentum de termino ad ter- minum ... (82)

La medesima misura dell'altezza della figura, secondo le in- dicazioni vitruviane, va a costituire, assieme al busto, la lun- ghezza delle braccia, ciascuna delle quali è definita con tre mo- duli e mezzo, secondo la seguente scansione:

... brachij vero elongacio ab osse spatule ad flexuram cubiti testa una et media signatur. A cubito ad medium manus tantundem spacium esse debet. Ex quibus accipitur brachium manu cum tota trium cum semis esse testarum. Longitudo autem manus testam unam occupat estque tocius corporis mensura ut hominem tante quantitatis esse in- veniatur quanta novies manus eius habetur. Longitudo vero totius di- giti medij a primo nodo exterius incipiendo media testa est...(83)

È interessante il fatto che il Savonarola ritenga che gli scul- tori siano stati più scrupolosi nelle definizioni delle propor- zioni del corpo umano rispetto ai pittori. Egli afferma esplicita- mente che Giotto «pictor Florentinus qui primus musaycas et vetustas figuras modernizavit», Avanzo, Giusto de' Menabuoi, Altichiero e Guariento sebbene «famosi et in arte pictorie pre- stantissimi» non abbiano osservato precisamente le misure sopra indicate, quasi a sottolineare ancora una volta come l'in- teresse per l'elaborazione di un sistema proporzionale (in questo caso quello pseudo-varroniano) si sia affermato essen- zialmente nelle botteghe degli scultori (84).

Lorenzo Ghiberti, infatti, che scrive i suoi Commentari pochi decenni dopo, verso la metà del Quattrocento, sebbene conosca la ripartizione regolare vitruviana della figura in dieci parti (85), sembra più interessato al canone pseudo-varroniano ritenendo che la «perfetta misura» secondo «gli antichi sta- tuarij» debba essere di «teste [facce] 9 1/2» (86). Egli giunge a questa suddivisione sommando alle otto facce i due sottomo-

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192 Raccolta Vinciana

d uli del collo e del ginocchio per arrivare a nove (87), e il piede per aggiungere un'ulteriore metà (fig. 3-E)(88).

Lo scultore e architetto Antonio Averlino detto il Filarete prosegue nella stessa direzione nella scelta del canone soste- nendo nel suo Trattato di architettura, scritto dopo il 1451, che

«la figura de l'uomo che è bene proporzionato», cioè l'uomo ideale che corrisponde ad Adamo creato direttamente da Dio, deve essere in tutto di 9 teste (in realtà facce), misurazione ot- tenuta associando però alle otto tradizionali solo il collo (1/2) ed il piede (1/2) «sì che, colla mezza del collo e colla mezza del piè, viene a essere in tutto nove teste» (fig. 3-F). L'artista inoltre, nello stesso passo, ripropone per il braccio la stessa ri- partizione del Cennini («esendo due teste e mezzo il braccio, e la mano distesa è quanto la testa») con la piccola variante (coe- rente con il suo sistema) di utilizzare per il sottomodulo del gomito 1/2 faccia e non 1/3 (89).

Una variazione del canone pseudo-varroniano simile e pro- babilmente derivante da quello del Filarete (anche per quanto riguarda la misura del braccio) viene presentata da Buonac- corso Ghiberti (nipote di Lorenzo) nel suo Zibaldone (1472-83 ca). Buonaccorso, infatti, aggiunge alle 8 facce le due metà dei sottomoduli collo e piede (a differenza del nonno Lorenzo non individua il sottomodulo ginocchio): «Sjche cholo 1/2 de lo cholo e 1/2 del pie» si raggiunge il numero di 9 teste (fig.

3-G) (90). Ma nello Zibaldone compaiono anche le misure pro- porzionali vitruviane dal momento che una parte del mano- scritto presenta una parziale traduzione di Vitruvio probabil- mente utilizzata già dal nonno Lorenzo (9 1).

Seguendo

le

indicazioni dell'architetto latino anche Fran- cesco di Giorgio Martini nei suoi trattati sull'architettura, stesi negli ultimi decenni del secolo, è affascinato dalla sintonia che esiste e che deve essere evidenziata tra le misure del corpo umano e le strutture architettoniche (92). Dal momento che «le facce de' tempi sono tratte del corpo umano con quelle ragioni e misure che a essi si richiede» l'architetto senese ritiene dove-

Storia dei canoni proporzionali del corpo umano 193 roso stabilire che - più opportunamente rispetto alle misure di Vitruvio, che interpreta in modo non corretto e che co- munque riprende nel definire tra l'altro la suddivisione della colonna dorica di 6 teste e di quella ionica in 8 teste - «el corpo umano è partito in parti nove overo in nove teste [facce]

dal termine e dependenzia della fronte e capelli a la stremità del mento». Anche qui oltre alle otto parti «l'altezza del piè e diametro della gola fanno l'altezza della nona» (93). In un altro passo, Francesco di Giorgio, nel definire meglio il rapporto proporzionale tra capitello e testa dell'uomo, individua anche il sottomodulo della «volta del craneo» nella misura di 1/2 faccia (94). Quindi, anche se non detto apertamente, il suo ca- none proporzionale dovrebbe risultare di 9 facce e 1/2. Esatta- mente ciò che appare con maggior frequenza nei disegni che il- lustrano i codici. Egli quindi nell'instaurare la relazione tra le varie membra del corpo in rapporto con la struttura dei capi- telli, delle colonne secondo i vari ordini, della facciata di una chiesa, si è rifatto chiaramente ad una delle varianti del sistema pseudo-varroniano.

Come è evidente da uno di questi disegni (fig. 11), la divi- sione in 9 facce e 1/2 è il risultato dell'aggregazione tra le 8 facce tradizionali e la nona ottenuta con l'unione della som- mità del capo (1/2), del collo (1/2) e del piede (1/2) (fig. 3-H).

Nel disegno troviamo in particolare anche una più articolata suddivisione del modulo faccia in tre parti, l'ultima delle quali è ulteriormente tripartita secondo uno schema tradizionale già presente nel manuale del Monte Athos sopra ricordato (95).

Francesco di Giorgio, inoltre, pur non esplicitando aperta- mente la scansione del braccio dà la seguente indicazione: «E per lo traverso delle braccia è altre nove parti, delle quali quattro e mezzo se ne piglia, cioè dall'uno e l'altro gobito» (96).

Il senso è chiarito da un confronto con la simile ripartizione avanzata nei testi del Savonarola, del Filarete e di Buonaccorso Ghiberti, e soprattutto può essere visualizzato, ad esempio, da una incisione inserita in un testo cinquecentesco che sembra il-

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